10/02/2011 Editoriali9 Minuti

Randagismo: ragioniamo.

Sivelp

Radio24 Conduttore A. Milan, si parla di randagismo. Posizioni diverse, perfetta democrazia ma, da medico veterinario, rilevo almeno due inesattezze. Si è detto che il randagismo non comporta rischio di malattie infettive. Nel sito del Ministero della Salute leggiamo: “RISCHI DEL RANDAGISMO Dai dati rilevati sul territorio nazionale risulta che in molte regioni, …

Radio24 Conduttore A. Milan, si parla di randagismo. Posizioni diverse, perfetta democrazia ma, da medico veterinario, rilevo almeno due inesattezze. Si è detto che il randagismo non comporta rischio di malattie infettive. Nel sito del Ministero della Salute leggiamo: “RISCHI DEL RANDAGISMO Dai dati rilevati sul territorio nazionale risulta che in molte regioni, soprattutto del Sud, il fenomeno del randagismo, ha raggiunto livelli drammatici ed è spesso fuori controllo. Dall’ultima rendicontazione annuale (riferita all’anno 2006) inviata dalle regioni e dalle province autonome al Ministero della Salute, risultano 6.000.000 cani di proprietà e 590.000 cani randagi di cui solo un terzo ospitati nei canili rifugio. I cani abbandonati continuano ad alimentare la popolazione vagante, inoltre molte femmine gravide partoriscono ed i cuccioli che non muoiono di stenti, diventando adulti, rappresentano un ulteriore serbatoio di randagi. Alcuni di questi cani inoltre sono poco socializzati con l’uomo e si trasformano in soggetti “inselvatichiti” il cui controllo è più problematico, soprattutto quando si riuniscono in branchi. I cani vaganti sul territorio, singoli od in branchi, possono: •rappresentare un potenziale rischio di aggressione per le persone •diventare serbatoio e veicolo di malattie infettive ed infestive, alcune delle quali trasmissibili all’uomo, non essendo sottoposti ad alcun controllo sanitario •essere causa di incidenti stradali; ogni anno si registrano centinaia di incidenti stradali, anche mortali, causati da animali randagi: “chi abbandona un cane, dunque, non solo commette un reato penale (legge 189/2004), ma potrebbe rendersi responsabile di omicidio colposo” •arrecare danni al bestiame domestico allevato •arrecare danni agli animali selvatici •alimentare il fenomeno del randagismo, in quanto non sterilizzati e spesso notevolmente prolifici •essere causa di degrado ed inquinamento ambientale sia nel contesto urbano, che nelle campagne, con conseguente polluzione di pest (ratti, topi), sinantropi ed insetti che a loro volta costituiscono una possibile fonte di pericolo per l’uomo.” http://www.salute.gov.it/caniGatti La rabbia è la punta dell’iceberg del rischio zoonosi da randagi e per fortuna ha riguardato, fino ad oggi, zone d’Italia a bassissimo tenore di cani senza padrone. Ma l’elenco di malattie trasmissibili all’uomo, che facilmente si diffondono in animali -per forza di cose- privi di cure, è lunghissimo. Basterebbe incrociare i dati tra medicina umana e veterinaria; a cominciare dalla leishmaniosi. Si è poi parlato delle aggressioni da randagi, anche qui minimizzando il problema, come se riguardasse solamente il 10% dei casi totali. Ebbene, uno studio di un anno delle aziende sanitarie in Regione Lazio, studio pubblicato, ha rilevato almeno il 40 % dei casi di aggressione a persone da parte di randagi. Si stimano ogni anno circa 30.000 lesioni in totale (domestiche e non),dato sottostimato perchè molti proprietari non riportano i casi compiutamente. Ebbene, non siamo distanti dai 100 casi al giorno e la responsabilità dei randagi in queste aggressioni è proporzionale all’entità del fenomeno per area geografica. Questo significa che la legge attuale sul randagismo non ci permette di dichiarare chiuso il capitolo, anche se si tratta di una bella legge a tutela dei cani e delle persone. Vent’anni di sperimentazione possono bastare. Occorre aprire un dibattito sereno e valutare soluzioni nuove, che responsabilizzino totalmente propriatari ben definiti. Il cane di tutti ( o del Sindaco) equivale al cane di nessuno. Anche imparando dagli Stati che fanno meglio di noi. Radio24 Conduttore A. Milan, si parla di randagismo. Posizioni diverse, perfetta democrazia ma, da medico veterinario, rilevo almeno due inesattezze. Si è detto che il randagismo non comporta rischio di malattie infettive. Nel sito del Ministero della Salute leggiamo: “RISCHI DEL RANDAGISMO Dai dati rilevati sul territorio nazionale risulta che in molte regioni, soprattutto del Sud, il fenomeno del randagismo, ha raggiunto livelli drammatici ed è spesso fuori controllo. Dall’ultima rendicontazione annuale (riferita all’anno 2006) inviata dalle regioni e dalle province autonome al Ministero della Salute, risultano 6.000.000 cani di proprietà e 590.000 cani randagi di cui solo un terzo ospitati nei canili rifugio. I cani abbandonati continuano ad alimentare la popolazione vagante, inoltre molte femmine gravide partoriscono ed i cuccioli che non muoiono di stenti, diventando adulti, rappresentano un ulteriore serbatoio di randagi. Alcuni di questi cani inoltre sono poco socializzati con l’uomo e si trasformano in soggetti “inselvatichiti” il cui controllo è più problematico, soprattutto quando si riuniscono in branchi. I cani vaganti sul territorio, singoli od in branchi, possono: •rappresentare un potenziale rischio di aggressione per le persone •diventare serbatoio e veicolo di malattie infettive ed infestive, alcune delle quali trasmissibili all’uomo, non essendo sottoposti ad alcun controllo sanitario •essere causa di incidenti stradali; ogni anno si registrano centinaia di incidenti stradali, anche mortali, causati da animali randagi: “chi abbandona un cane, dunque, non solo commette un reato penale (legge 189/2004), ma potrebbe rendersi responsabile di omicidio colposo” •arrecare danni al bestiame domestico allevato •arrecare danni agli animali selvatici •alimentare il fenomeno del randagismo, in quanto non sterilizzati e spesso notevolmente prolifici •essere causa di degrado ed inquinamento ambientale sia nel contesto urbano, che nelle campagne, con conseguente polluzione di pest (ratti, topi), sinantropi ed insetti che a loro volta costituiscono una possibile fonte di pericolo per l’uomo.” http://www.salute.gov.it/caniGatti La rabbia è la punta dell’iceberg del rischio zoonosi da randagi e per fortuna ha riguardato, fino ad oggi, zone d’Italia a bassissimo tenore di cani senza padrone. Ma l’elenco di malattie trasmissibili all’uomo, che facilmente si diffondono in animali -per forza di cose- privi di cure, è lunghissimo. Basterebbe incrociare i dati tra medicina umana e veterinaria; a cominciare dalla leishmaniosi. Si è poi parlato delle aggressioni da randagi, anche qui minimizzando il problema, come se riguardasse solamente il 10% dei casi totali. Ebbene, uno studio di un anno delle aziende sanitarie in Regione Lazio, studio pubblicato, ha rilevato almeno il 40 % dei casi di aggressione a persone da parte di randagi. Si stimano ogni anno circa 30.000 lesioni in totale (domestiche e non),dato sottostimato perchè molti proprietari non riportano i casi compiutamente. Ebbene, non siamo distanti dai 100 casi al giorno e la responsabilità dei randagi in queste aggressioni è proporzionale all’entità del fenomeno per area geografica. Questo significa che la legge attuale sul randagismo non ci permette di dichiarare chiuso il capitolo, anche se si tratta di una bella legge a tutela dei cani e delle persone. Vent’anni di sperimentazione possono bastare. Occorre aprire un dibattito sereno e valutare soluzioni nuove, che responsabilizzino totalmente propriatari ben definiti. Il cane di tutti ( o del Sindaco) equivale al cane di nessuno. Anche imparando dagli Stati che fanno meglio di noi.

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