09/09/2010 Editoriali5 Minuti

C’è ancora spazio per la libera professione?

Sivelp

Nei giorni scorsi molti Colleghi ci hanno segnalato un servizio dedicato agli animali, trasmesso da una rete locale veneta. L’intervistato, dott. Ferdinando Sbizzera, ha dato una sua interpretazione sulle tariffe veterinarie affermando che “si smentisce un luogo comune, cioè che nel pubblico le prestazioni costino di più che nel privato”, invitando …

Nei giorni scorsi molti Colleghi ci hanno segnalato un servizio dedicato agli animali, trasmesso da una rete locale veneta. L’intervistato, dott. Ferdinando Sbizzera, ha dato una sua interpretazione sulle tariffe veterinarie affermando che “si smentisce un luogo comune, cioè che nel pubblico le prestazioni costino di più che nel privato”, invitando i proprietari a rivolgersi a strutture pubbliche e facoltà. Un quotidiano nazionale ha riportato un’intera pagina che descrive un pronto soccorso H24 della Università, dove si afferma -più o meno-, che il livello delle prestazioni erogate è talmente elevato che non vi è concorrenza con gli ambulatori privati. Ma se la veterinaria di base è più conveniente nella sanità pubblica e quella di eccellenza è prerogativa delle facoltà, che spazio deve trovarsi la libera professione? La situazione si potrebbe definire umoristica, se non ci fossero dietro i numeri drammatici dei redditi di categoria, inferiori ai 15.000€. Risulta assai curioso osservare che molto spesso i ticket (contributi parziali al costo della prestazione) che il cittadino paga in Ospedale, sono più o meno allineati con il costo totale di una corrispondente prestazione veterinaria: se, per fare un esempio, pago 35 euro di ticket per una visita dermatologica in Ospedale, mentre un veterinario me ne richiede 35 per la stessa prestazione sull’animale, si suppone che la visita in ospedale abbia un costo reale molto più elevato, del quale i 35 euro non sono altro che una misera partecipazione, del tutto parziale. Così, per i turni di copertura di un pronto soccorso aperto 24 ore su 24, sono necessari quattro o cinque assunti e dal momento che un solo medico non è ovviamente in grado di gestire da solo soluzioni complesse, dobbiamo immaginare almeno 2 laureati e abilitati per ogni turno. Non contiamo neanche i tecnici della diagnostica, i radiologi (che hanno impieghi orari più brevi per il rischio radiazioni), il personale ausiliario e gli addetti all’igiene ed i costi di strutture ed attrezzature. Se così non fosse, sarebbe spunto d’interesse per gli Ufficio del Lavoro. Ovviamente lo Stato può fare le tariffe al pubblico che vuole, tanto paga la collettività, ma se questo è giustificato per un diritto costituzionalmente garantito, come quello della salute umana, non vi è altrettanta motivazione per la cura dei piccoli animali, cui nessun accenno fa la nostra Costituzione e che potrebbe piuttosto qualificarsi quale concorrenza sleale in un sistema normato dall’Europa come libero mercato. Ricorrere a convenzioni? Sarebbe possibile se nel nostro Paese il “convenzionato” non diventasse immediatamente “precario della sanità”, quindi “stabilizzato”, ed infine “assunto a tempo indeterminato”, come la politica ben sa, e come ha promesso di non replicare. Si potrebbe affermare che nell’attuale congiuntura economica, non sarebbe la scelta più lungimirante. Noi intravvediamo una soluzione, che è quella applicata dalla Regione Veneto per l’emergenza rabbia, attivando una rete di strutture private a costi accordati, per dare un servizio capillare e competente a costo zero. Questo giustifica la difesa di posizione di categoria della veterinaria intera, in un sistema complementare ed additivo tra pubblico e privato. Un sistema che stigmatizza le ingerenze esterne in materie di nostra competenza, ma non per una semplice difesa corporativa, ma per i vantaggi che tale sistema garantisce all’utenza. In questa ottica il SIVELP ha condiviso le prese di posizioni dell’Ordine e del Collega SIVEMP Roberto Poggiani, laddove ad Oppeano, nel Veronese, si è avuta la sensazione, poi rientrata, di un’organizzazione di corsi per il cosiddetto “patentino” senza il coinvolgimento della Veterinaria. Lo Stato continua ad investire per produrre più di mille veterinari all’anno (+ 40% nell’ultimo decennio), e questi non possono rimanere schiacciati in un sistema privo di sbocchi professionali. Il nostro campo occupazionale, sicuramente in espansione, non può prescindere dalla libera concorrenza, ed auspichiamo che siano queste le regole che ne governano la gestione. Regole diverse comporterebbero distorsioni tali da minarne alla base la credibilità. Danno certo per chi fornisce e per chi fruisce del servizio.

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