19/01/2025 News, Editoriali4 Minuti

“Verso un monopolio della formazione veterinaria? Riflessioni sul caso BluVet”

SIVELP

Negli ultimi anni, il panorama della medicina veterinaria in Italia sta vivendo una trasformazione profonda, segnata dall’ascesa delle corporate veterinarie e da un cambiamento delle dinamiche di settore. Una recente notizia, riguardante la cessione di BluVet a Ca’ Zampa e il conseguente sviluppo di un grande polo di cliniche veterinarie in Italia, ha suscitato molte riflessioni, soprattutto per quanto concerne il futuro della professione veterinaria e il suo impatto sulla formazione.

Un aspetto particolarmente rilevante di questa evoluzione è rappresentato dall’accordo che prevede l’ospitare l’Ospedale Didattico della facoltà di Medicina Veterinaria dell’Università di Roma Tor Vergata presso il Policlinico Veterinario Gregorio VII di Roma, una struttura di BluVet. Questo connubio tra università e corporate apre le porte a una potenziale “multinazionale della formazione”, il cui potere potrebbe estendersi ben oltre l’ambito accademico.

Ma quali sono le implicazioni per la categoria veterinaria? Il timore principale è che queste realtà, attraverso la loro capacità di influenzare politiche e decreti di settore, possano dar vita a una lobby autoreferenziata. Una dinamica di questo tipo non solo rischia di minare la pluralità professionale, ma potrebbe anche favorire l’esclusione del piccolo ambulatorio e dei professionisti indipendenti, spostando ulteriormente il mercato verso una logica di concentrazione e standardizzazione.

Un nodo cruciale è rappresentato dal tema delle certificazioni, che negli ultimi anni ha assunto un ruolo sempre più rilevante. La questione non risiede tanto nella necessità di certificare le competenze, quanto nel capire chi sia accreditato a farlo e quali siano le motivazioni alla base di questa esigenza. L’introduzione di standard e certificazioni come la ISO 9001, sebbene apparentemente neutrale, sembra essere sfuggita di mano, trasformandosi in un meccanismo che rischia di penalizzare chi non ha accesso a risorse e strutture adeguate.

Un ulteriore elemento di complessità è rappresentato dal ruolo di Accredia, l’ente che stabilisce chi può accreditare i certificatori. Le tabelle e i parametri utilizzati per valutare le esperienze e le competenze dei professionisti appaiono spesso poco chiari, alimentando il sospetto che il sistema favorisca determinati attori a scapito di altri. In molti casi, le regole del gioco sembrano essere scritte per riservare un posto a tavola a chi è già parte del sistema, escludendo di fatto chi non è in grado di allinearsi a queste logiche.

In questo contesto, è fondamentale interrogarsi sul futuro della professione veterinaria. È davvero questa la direzione giusta per garantire la qualità del servizio e il benessere degli animali? Oppure stiamo assistendo a una trasformazione che, se non adeguatamente regolamentata, rischia di compromettere la sostenibilità e l’etica della professione?

Il dibattito è aperto e richiede un confronto ampio e trasparente tra tutte le parti interessate. È essenziale che il sistema mantenga al centro i valori della professione veterinaria, garantendo pari opportunità a tutti i professionisti e tutelando la diversità delle realtà presenti sul territorio. Solo così sarà possibile costruire un futuro che sia realmente sostenibile e inclusivo per tutta la categoria.