I veterinari liberi professionisti non possono sostenere concorrenza senza regole.
Non è raro che nei canili dotati di ambulatorio si propongano prestazioni veterinarie a cifre modiche:
lo Stato li sovvenziona, li dota di attrezzature, li pubblicizza e questi si mettono sul mercato (distorcendolo) in concorrenza con i liberi professionisti.
Noi, con le tasse che paghiamo, ci finanziamo la concorrenza (sleale). Per questo dobbiamo diffidare di chi propone in questi giorni l’apertura di strutture analoghe ovunque. Prima regole chiare: i canili non devono diventare l’alibi per strutture diverse. Solamente se questo verrà messo nero su bianco, crederemo alla buona fede di chi li propone. Altrimenti resteranno per noi un sistema per tenere in piedi un fiorente business, dipinto di grandi ideali. Ma non basta. Dopo che per anni il sindacato dei veterinari liberi professionisti ha cercato di far capire, alle istituzioni e all’opinione pubblica, che esiste un eclatante conflitto di interessi nell’esercizio della libera professione da parte della veterinaria pubblica (che deve sovraintendere all’attività dei privati), torna a farsi strada la proposta di ospedali, ambulatori, pronto soccorso ed ambulanze veterinarie, tutto a carico del sistema sanitario nazionale.
La proposta viene dall’esponente del Partito Democratico, onorevole Silvana Amati, che evidentemente non si rende conto che lo Stato Europeo con il maggior numero di veterinari pubblici, non avrebbe bisogno di ulteriori voci di spesa in questo senso. Non avrebbe bisogno neanche di riaprire un contenzioso (mai del tutto sopito), tra controllori e controllati, creando tensioni in una categoria notoriamente sovraffollata da una scriteriata politica di non-programmazione universitaria. Evidentemente non bastano i quasi 7.000 ambulatori veterinari privati, ed i circa 20.000 liberi professionisti agevolmente in grado di sopperire alle necessità del territorio, senza aggravio per la collettività. Evidentemente alla Senatrice sfuggono le cifre catastrofiche sull’economia reale, oppure immagina che gli operai in cassa integrazione, e quelli per strada (senza ammortizzatori sociali), ed i titolari di aziende in crisi, fremano d’impazienza al pensiero che si aprano onerosissime strutture pubbliche veterinarie. Non ce ne vorrà, la Senatrice, se ci permetteremo di farle notare che un ambulatorio veterinario costa centinaia di migliaia di Euro, che i turni del SSN richiedono almeno quattro persone (pagate diverse migliaia di euro al mese) per coprire le 24 ore, e che le competenze in sanità pubblica non coincidono con quelle in clinica dei piccoli animali.
Il Sivelp ha sempre proposto la propria collaborazione per un progetto serio che preveda alcune prestazioni di base in convenzione (pet card), per i meno abbienti. Diversamente, se in piena crisi economica dovesse prevalere la logica di aprire nuove strutture a carico della collettività (anche -si noti bene- “travestite” da canile), non ci resterà altro che chiedere la NAZIONALIZZAZIONE, né più né meno delle banche in crisi.
SIVeLP
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