Come conferma l’Accordo Stato-Regioni del 01.08.2007 in relazione alla Quantificazione dell’Obbligo Formativo, “L’Italia è l’unico Paese che prevede ECM obbligatorio non solo per i medici ma per tutte le professioni sanitarie (circa 1.000.000 di soggetti). Questa decisione è basata sul giusto principio che la qualità dell’azione sanitaria non dipende solo …
Come conferma l’Accordo Stato-Regioni del 01.08.2007 in relazione alla Quantificazione dell’Obbligo Formativo, “L’Italia è l’unico Paese che prevede ECM obbligatorio non solo per i medici ma per tutte le professioni sanitarie (circa 1.000.000 di soggetti). Questa decisione è basata sul giusto principio che la qualità dell’azione sanitaria non dipende solo dagli atti dei medici, ma da tutta la filiera di decisioni e di azioni dei vari professionisti della Sanità coinvolti in una determinata procedura sanitaria.”. L’affermazione di principio riportata, -esito di un lungo percorso inizialmente intrapreso per quantificare e standardizzare la valutazione e la formazione dei dipendenti e dei concorsi pubblici-, riposa sull’assunto che vi sia una stretta (ed evidente) interrelazione tra i vari aspetti della salute tanto umana quanto degli animali, ragion per cui oggi non è dato esercitare una professione sanitaria senza un costante aggiornamento della preparazione di ciascun operatore. Tuttavia, l’attuale sistema di Educazione Continua in Medicina non può certo dirsi sia riuscito a tradurre tale valido e condivisibile principio olistico in un sistema efficiente e giusto, quantomeno per i liberi professionisti e soprattutto per i Veterinari liberi professionisti. Questi ultimi, infatti, se da un lato hanno il dovere (sia per quanto stabilito in materia di ECM, nonché ai sensi dell’art. 16 del Cod. Deontologico) di aggiornarsi acquisendo “crediti” in virtù della ricordata “qualità dell’azione sanitaria”, dall’altro non vedono le loro prestazioni considerate a tutti gli effetti come “atti medici”. Innanzitutto dal punto di vista fiscale –dove le prestazioni dei veterinari liberi professionisti sono considerate alla stregua di servizi, tanto che ad esse si applica l’imposta sul valore aggiunto all’aliquota del 20% (quando, invece, tutte le prestazioni sanitarie ne sono completamente esenti). Questa discriminazione si accentua considerando che, ad oggi, le ulteriori proposizioni dell’Accordo Stato-Regioni del 1.08.2007 volte a colmare il divario esistente tra i pubblici dipendenti, i quali come noto accedono gratuitamente ed in orario remunerato di lavoro agli aggiornamenti di ECM, ed i liberi professionisti sono rimaste lettera morta. Sempre secondo l’Accordo citato: “E’ evidente come ogni eventuale obbligo per i liberi – professionisti debba fondarsi su alcune precise garanzie normative ed individuare agevolazioni sui costi sopportati; parimenti potrebbe essere diversamente individuato il debito complessivo dei crediti e la composizione del Dossier Formativo” (Accordo Stato – Regioni 01.08.2006, Destinatari pg. 6).” . Va poi considerato che tale situazione di discriminazione, già palesemente in contrasto con l’art. 3 della Costituzione, va ad incidere su una situazione reddituale alquanto modesta: infatti,il reddito medio di un veterinario libero professionista è pari (da fonte ENPAV) a circa € 14.000 Euro. Tale reddito è tra i più bassi delle categorie professionali, ed ora dovrà necessariamente contrarsi, dovendo il libero professionista rinunciare quantomeno a 10/15 giornate lavorative per conseguire i sospirati crediti e, presumibilmente, sopportare in prima persona i costi (diretti ed indiretti) di aggiornamento. A ciò si aggiunga che nel nostro Paese è oggi concentrato oltre un quarto dei veterinari di tutta Europa, che hanno conseguito il titolo in una delle tante università italiane che ogni anno – senza vincolo alcuno e/o barriera selettiva – immettono sul mercato non meno di un migliaio di laureati l’anno. E’ chiaro che in tali condizioni oggettive, anche prescindendo da tutti gli ulteriori aspetti di inefficienza dell’attuale sistema di ECM segnalati da più fonti e relativi alle modalità dell’accreditamento, all’utilizzo dei referee, alla marginalizzazione del ruolo dei Collegi degli Ordini come formatori solo in materia di etica, deontologia e legislazione, risulta improrogabile un intervento che porti a rendere disponibili validi eventi formativi promossi per aggiornare il professionista “sull’azione sanitaria” e non solo per fargli conseguire un credito magari ottenuto seguendo costosi seminari su argomenti del tutto marginali o altamente specialistici, forse di grande interesse per il singolo ma che ben poco hanno a che vedere con la richiamata “azione sanitaria”; una riduzione (o meglio: un annullamento) del costo dell’aggiornamento per i liberi professionisti; una chiara definizione di atto medico in relazione alle prestazioni svolte dai Veterinari, agli obblighi ed oneri a cui questi ultimi sono tenuti. In tale prospettiva, come altre categorie professionali hanno già sperimentato, anziché una panacea in cui medici, odontoiatri, farmacisti, veterinari vengono accomunati nella folle corsa ai noti crediti, e quantomeno per i Veterinari liberi professionisti sarebbe forse auspicabile una diversa configurazione del dovere di aggiornamento. Infatti, se tale dovere fosse previsto esclusivamente quale dovere deontologico (come peraltro già previsto dall’art. 16 Cod. Deon.) e la FNOVI fosse investita del compito di dettarne con proprio regolamento le modalità attuative (ivi comprese quelle sanzionatorie), si potrebbe prospettare un sistema più articolato e distinto per categorie professionali, ma al contempo più aderente alle esigenze della categoria, libera di organizzare le proprie risorse umane, di conoscenza in funzione di tali esigenze, ma sempre nella prospettiva di perseguire la “qualità dell’azione sanitaria”. Tale obbligo potrebbe essere assolto con un numero congruo di crediti che non superi un impegno di 2/3 giornate per anno e autocertificato su richiesta dell`Ordine, eliminando il complesso sistema della banca dati. L`Ordine stesso sarebbe poi garante della qualità dei processi formativi, limitati a poche e selezionate materie di interesse generale, ridimensionando il macchinoso sistema degli accreditamenti e garantendo la formazione con i fondi della quota annuale. Per il Sivelp questa prospettiva sarebbe ben più realistica di una defiscalizzazione dell`investimento formativo, manovra di pura facciata in considerazione degli esigui redditi della categoria. (Avv. Amalia Cristiana Riboli, Dr. Angelo Troi)
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