POLPETTE AVVELENATE: QUANDO L’ANIMALICIDIO SI ARRESTA ALLA SOGLIA DEL
TENTATIVO
Marianna Sala – avvocato in Milano
Il caso
Una bambina sente il proprio cane abbaiare e si affaccia dal balcone:
vede “qualcosa” che scivola lungo la recinzione a confine con la
proprietà del vicino, in corrispondenza del punto in cui è posizionato
il cane, che l’annusa e mette in bocca. La bambina grida disperata, i
genitori accorrono e il cane, per la concitazione del momento, sputa a
terra quel “qualcosa”, che si rivela essere una polpetta.
Si tratta di un boccone avvelenato, come risulta dalle analisi
chimiche che evidenziano la presenza di pesticidi e diazinone in
concentrazioni idonee a determinare “avvelenamento acuto per
ingestione”.
Nel corso del procedimento penale, il Giudice ritiene raggiunta la
prova che sia stato il vicino di casa a realizzare e far cadere il
boccone di carne avvelenato nel giardino, allo scopo di uccidere il
cane.
Di conseguenza, con la sentenza in commento, il Tribunale di Milano
ha condannato l’imputato per il delitto di uccisione di animali sotto
forma di tentativo ex artt. 56 e 544 bis c.p.
Il commento
Il caso in esame interessa di più per la questione di fatto che non
per la questione di diritto ad esso sottesa. È di tutta evidenza,
infatti, che la natura delittuosa del reato ex art. 544 bis c.p. renda
configurabile – in linea teorica – il tentativo.
Ciononostante, sino ad ora la giurisprudenza non aveva mai affrontato
il tema e con la presente sentenza il Tribunale di Milano ha
condannato, per la prima volta dall’introduzione del delitto nel codice
penale (con Legge 189/2004), a titolo di tentativo di uccisione di
animali.
Quanto alla questione di diritto, il problema era quello di
individuare la linea di demarcazione tra il tentativo di uccisione di
animali ed il loro maltrattamento.
Nel caso di specie il P.M. aveva modificato l’iniziale contestazione
di tentato maltrattamento ex artt. 56 e 544 ter c.p. (in continuazione
con altri reati su cui non è stata raggiunta la prova nel corso del
giudizio) con quella – a nostro avviso più corretta – di tentata
uccisione di animali ex artt. 56 e 544 bis c.p.
Il mutamento del capo di imputazione si giustifica in quanto la
polpetta aveva una carica di tossicità idonea ad uccidere l’animale, e
non soltanto a provocargli una lesione, come richiesto dalla norma sul
maltrattamento.
In conclusione
Con la pronuncia in commento, il Tribunale di Milano ha dimostrato di
essere sensibile ai nuovi valori sociali che stanno (finalmente)
emergendo in relazione alla tutela giuridica degli animali e ci si
auspica che questa interpretazione trovi ulteriori riscontri in
giurisprudenza.
Se così non fosse, la magistratura perderebbe l’occasione di
adempiere a una funzione interpretativa del diritto non solo tecnica,
ma anche culturale, funzione che rappresenta un compito difficile, ma
anche privilegiato, della giurisdizione.
Un plauso, dunque, al Tribunale di Milano, che per primo ha
dimostrato la dovuta attenzione nel giudicare la realizzabilità del
delitto di cui all’art. 544 bis c.p. in forma tentata, valutandolo alla
stessa stregua degli altri delitti previsti e puniti dal nostro codice
penale.
Sentenza Tribunale Milano 03/04/2012
Il Quotidiano Giuridico – Quotidiano di informazione e
approfondimento giuridico N. 27/7/2012
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