Allevamenti sequestrati, terreni inquinati: rischi concreti per la salute dei cittadini di cui la cronaca ci da nota in questi giorni.
Nel nostro Paese la notizia non ci stupisce. Vorrei invece far riflettere su quale impatto devastante possa avere sui consumatori esteri. Mentre noi tendiamo ad identificare ed isolare il contesto geografico degli scandali alimentari, questo non succede nei mercati internazionali, dove l’agroalimentare italiano viene percepito come “Made in Italy”, senza distinzioni. Esattamente nello stesso modo in cui un nostro connazionale non si pone generalmente domande su quale sarà il preciso luogo di origine di prodotti esteri che troviamo sugli scaffali dei supermercati: dagli ananas al kebab, dal caviale all’emmental.
Qualche news dei mass-media ed il marchio col tricolore viene prudentemente evitato. Semplicemente lasciato in disparte, a beneficio di una pluralità d’offerta d’altra provenienza, come è normale che sia in qualsiasi realtà diversa dalla nostra.
Per questo ci aspettiamo un vero impegno per garantire la sicurezza alimentare, impegno che vede i veterinari in prima linea direttamente, per gli alimenti di origine animale, ed indirettamente, per le ricadute dell’inquinamento ambientale sulle filiere.
Per arrivare a dei risultati dobbiamo razionalizzare le risorse e stabilire delle priorità. Moltiplicare la burocrazia significa fare il contrario: finisce per seppellire tra le carte i problemi, anziché risolverli.
Per questi motivi SIVeLP formula delle proposte.
Ci sono idee costruttive come quella di un veterinario responsabile degli allevamenti destinate a naufragare nel business dei “patentini”, come se la nefasta esperienza degli ECM non bastasse a farci capire l’assurdità della compravendita cartacea delle competenze, molto spesso lettera morta alla prova dei fatti.
Proponiamo una tracciabilità del farmaco attraverso la trasmissione dei documenti di trasporto dai fornitori agli utilizzatori, in modo da avere dati certi ed istantanei di quanto viene usato, e non informazioni incerte come quelle della ricetta, che non sempre si traduce in reale acquisto.
Tracciare farmaci per animali non DPA (in sostanza, animali da compagnia) non rappresenta a nostro avviso una priorità strategica, esattamente come non lo è impiegare in questo settore veterinari pubblici.
Se dunque tutti si dicono contrari ai tagli lineari della sanità, si impongono delle scelte.
Si può certamente ricorrere alla collaborazione col privato, dove conviene. A parte gli evitabili costi per la collettività di strutture pubbliche di cura per cani e gatti, anche l’impiego di personale può essere razionalizzato.
Il cittadino deve essere consapevole del fatto che un veterinario (dal costo medio per le aziende sanitarie di centomila euro all’anno) mentre castra un gatto non controlla residui, zoonosi, sicurezza sanitaria… di ciò che produciamo e mangiamo. Controlli veri implicano anche una certa mobilità dei controllori. Sono state fatte esperienze positive di nuclei a rotazione, in modo da evitare quel radicamento territoriale che rende difficili approfondimenti in situazioni delicate.
I controlli e le garanzie sanitarie dovrebbero diventare un valore aggiunto, una qualità in più da condividere con i produttori, spendibile anche sul mercato. L’Europa chiede responsabilità ai produttori ed a questi la sanità impone i relativi costi veterinari. Siamo dunque al paradosso di una veterinaria spesso gratuita per cani e gatti (molto “trendy” per la politica) ma a pagamento per i produttori. Cioè per i protagonisti di quel comparto alimentare, che viene spesso vantato come zoccolo duro del made in Italy e avrebbero bisogno di figure consapevoli delle esigenze produttive ed economiche in cui operano, non più a carico dello Stato come in passato.
Tale sanità, a carico del sistema produttivo, richiede una profonda riorganizzazione per renderla capace di intervenire con efficacia in quelle numerose aree critiche che finiscono per danneggiare in-toto le nostre esportazioni.
Angelo Troi
Nessun tag disponibile per questo articolo.