Le campagne anti-abbandono certificano il fallimento di anagrafe cani e microchip.
Se i cani sono censiti in anagrafe e dotati di microchip come è possibile l’abbandono?
Sarebbero immediatamente ricondotti ai proprietari. Eppure sono puntuali le campagne mediatiche che denunciano migliaia di cani abbandonati dai vacanzieri italiani. Puntuali almeno quanto quelle per le adozioni, che indurranno i nostri concittadini, nei mesi brumosi e lontano dalle ferie, a portarsi a casa un animale. Non tutti concordano sulla veridicità dei dati: Assocanili parla di un trend più o meno costante durante l’anno, con un incremento nei mesi estivi di un modesto 10%. Forse complice anche la maggior frequentazione di spazi nuovi ed aperti, che rende più probabili gli smarrimenti.
Tuttavia una cosa è certa, la legge 281 approvata della vigilia di ferragosto del 1991, che doveva risolvere il problema del randagismo, non ha funzionato, anzi se possibile ha peggiorato le cose. Più randagi, più spesa per sanità e Comuni, più cani nei canili.
Cosa non funziona? In primo luogo l’anagrafe nazionale è un mosaico di situazioni regionali diverse, incompatibili, quasi mai in grado di comunicare reciprocamente. Persino i dati immessi sono difformi. I controlli sono quasi inesistenti. I liberi professionisti, che pure si sono resi più che disponibili a prestare la loro collaborazione, applicando i microchip e prodigandosi ad informare i proprietari, hanno avuto come risposta la proverbiale “pala sui denti”, cioè l’obbligo di segnalare i proprietari di animali senza chip alle autorità, cioè denunciare i propri clienti! Ci dicono che i liberi professionisti sono tenuti anche a denunciare le malattie infettive ma qui si parla di una segnalazione che comporta in automatico la sanzione, cosa ben diversa, Eppure, nel frattempo, in quasi 25 anni, quote sostanziose della sanità pubblica si sono riciclate negli animali da compagnia, spesso lasciando sguarniti settori strategici per una nazione, come la sicurezza alimentare ed il controllo di malattie infettive degli animali e/o trasmissibili all’uomo (come testimoniano le frequenti emergenze sanitarie).
Ma cosa non funziona? Il randagismo non si produce dai randagi (che si riproducono pochissimo) ma da cucciolate indesiderate di origine domestica e semi-domestica, dove non si fa sentire la naturale pressione ambientale di malattie, fame e competizione. Quindi la soluzione è indurre alla sterilizzazione responsabile (che, ahimè, non alimenta i business giusti!). Per l’anagrafe il discorso è complesso. Il cucciolo iscritto e microchippato a 60 gg. non avrà mai più occasioni di contatto con la Sanità Pubblica. Quindi i dati inseriti non saranno soggetti a controllo. Es. la taglia, come il colore, di un cucciolo può variare anche sensibilmente con l’età adulta, specie se meticcio. Possono poi variare i dati del proprietario. Egli si impegna a comunicare le variazioni, ma spesso si dimentica del cane quando cambia indirizzo o numero del telefonino. Spesso non ricorda neppure a chi sia stato intestato originariamente l’animale: oppure il detentore è un familiare diverso da quello che si è impegnato per iscritto, magari anni prima, a mantenere i dati aggiornati. Poi ci sono anagrafi che hanno unito dati di varie aziende sanitarie, accorpate nel corso degli anni, quindi gli stessi proprietari possono essere censiti più volte. Le Regioni non comunicano sempre una con l’altra le variazioni e possiamo avere animali iscritti in diverse anagrafi. Tutto questo richiederebbe aggiornamento e monitoraggio continuo dei dati, ma si tratta di un lavoro titanico, in pratica impossibile. Dunque il farraginoso e costosissimo impianto dell’anagrafe dei cani, con decine di sistemi di archiviazione ed una pletora di personale pagato per gestirlo a tutti i livelli, si rivela inutile per risolvere il problema.
I veterinari liberi professionisti, scoraggiati e frustrati da imposizioni borboniche e punitive, non possono far altro che rispondere al tentativo di scaricare su di loro le responsabilità del fallimento. Hanno due alternative: o un adeguamento delle tariffe a carico dei proprietari, tale da metterli almeno in parte al riparo dai danni economici razionalmente e statisticamente probabili (come per qualsiasi rischio aziendale), oppure restituendo le password dell’anagrafe elettronica, cioè rifiutando di collaborare con un sistema in cui avevamo sinceramente creduto. Per pochi euro di utile sull’applicazione dei chip, potrebbe non valere la pena caricarsi di obblighi e carte. Ciascuno farà i suoi conti, ma è chiara la responsibilità dei decisori. In attesa che tempi migliori facciano rinsavire chi predilige sistematicamente gli interventi d’autorità alla collaborazione ed al reciproco rispetto. O che qualcuno apra il cassetto dell’impressionante spesa pubblica (in pratica inutile) o faccia i conti del rapporto costi-benefici per la collettività che questo comporta, una volta tolta la mano di polvere di slogan e propaganda, valutando quanti realmente esistono dei circa 7 milioni di cani censiti “ufficialmente”. Forse, si potrebbe pensare che il randagismo, come tutte le più inveterate “emergenze nazionali”, dum pendet, rendet!
SIVELP – SINDACATO ITALIANO VETERINARI LIBERI PROFESSIONISTI
www.sivelp.it
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