Il Social-web rende più cattivi?
La nostra professione si scontra sempre di più con le pressioni del web. E nel web, attorno agli animali, si scatenano spesso contrasti violenti, furiosi, intolleranti delle opinioni altrui. Si giunge non raramente ad espressioni estreme e minacce, oppure a fomentare veri e propri comportamenti criminali. A volte dei Colleghi ne restano intrappolati…
Gli animali sono diventati una scorciatoia empatica cui fanno ricorso molti strateghi della pubblica opinione. Si scelgono quelli più simpatici, si sfrutta il feeling creato artificialmente (cartoni animati o film) e si edifica un insieme di bisogni, esigenze, diritti, doveri tanto più distanti dalla biologia e dall’etologia quanto più rappresentano proiezioni mentali di chi non ha alcuna base scientifica, ma precise nozioni di creazione del consenso. In certi casi si altera deliberatamente l’approccio scientifico, modellando in maniera più o meno calcolata la biologia, per compiacere tesi vantaggiose, per vendere determinati prodotti, o ricavare visibilità mediatica e politica. Ne è un esempio l’uso strumentale -peraltro fallimentare- del famoso cagnetto nell’ultima campagna elettorale. Nella storia il cimitero per i polli di Mussolini o la protezione animali di Hitler.
La professione veterinaria è spesso succube di “ordigni-web” che ci trovano impreparati e disarmati. Siamo diventati, nostro malgrado, dei professionisti costretti a confrontarci con i telefilm, molto più di quanto non succeda -ad esempio- per i medici o le forze dell’ordine, di fronte ai quali i cittadini mantengono un atteggiamento più equilibrato e distinguono la realtà dalla fantasia.
Vi è un dibattito aperto -tra gli esperti- sul ruolo della nuova comunicazione social: si limita a diffondere passivamente ed imparzialmente, agevola, o addirittura fomenta gli estremi? La facilità nel comunicare potrebbe far emergere delle posizioni che altrimenti sarebbero ponderate. Superficialità e impunità dei “post” potrebbero produrre posizioni assolute.
La comunicazione web, attraverso i motori di ricerca, tende ad “agganciare” messaggi ed opinioni simili, per cui il navigatore inconsapevole si trova indirizzato verso un ambiente di consenso. La selezione può portare a percepire come ingigantite determinate posizioni, creando nei protagonisti una sensazione che non esistano opzioni contrarie, oppure che qualche migliaio di opinioni “selezionate”, coincidano automaticamente -quasi come un plebiscito- con l’opinione di tutti. Spesso nel web si esasperano atteggiamenti, come la nota “sindrome NIMBY” che identifica i comitati spontanei di chi non è sfavorevole a priori ad un determinato progetto, basta che non venga fatto dietro casa sua (Not In My Back Yard). Troppi gruppi nascono, producono effetti e spariscono senza alcuna responsabilità concreta o giuridicamente rilevante nei contenuti o nelle conseguenze sul contesto in cui operano. Tanto che l’opinione di pochi “attivisti” viene confusa con l’interesse del pubblico, che semplicemente non entra nel merito per mancanza di coinvolgimento; ad esempio, non a tutti gli italiani potrebbe interessare una certa opera che riguarda un territorio lontano e ben circoscritto. Internet può dunque far perdere in qualche modo la dimensione del contesto, dimensione che un giornale, radio e tv rendono immediatamente, per la posizione, la rilevanza e lo spazio di un determinato argomento. La selezione del web porterebbe a creare per ciascun contenuto un flusso continuo di informazioni attinenti, che induce il navigatore a considerare posizioni, coincidenti con le sue, come assolute. Da qui il passo verso la legittimazione di isterie di massa non è certo automatico, ma è breve. I comportamenti estremi quali l’insulto e la violenza, possono contare su un substrato di consenso omologante. La legittimazione è percepibile come induzione ad atti negativi, che possono apparire di volta in volta come doverosi, eroici, impunibili e imperseguibili.
Internet è un mezzo; come tale non è buono o cattivo. Tuttavia la sua attitudine a coinvolgere e “travolgere” è senza precedenti ed in evoluzione rapidissima, spesso oltre le capacità della società e della politica di capirne i rischi, prevederne le distorsioni e rimediare alle aberrazioni.
I medici veterinari debbono porre molta attenzione a non trasformare una professione scientifica in una telenovela, valutando dove possono portare determinati atteggiamenti emotivi. Ad esempio alla censura della zootecnia, a pretese sproporzionate, allo scollamento tra costi e benefici, ad aspettative più missionarie che professionali, all’incapacità di accettare i limiti della natura… Non facciamoci trascinare nel gorgo del senso di colpa nel farsi retribuire decorosamente e difendere il diritto al reddito per cui lavoriamo. Altri, con interessi diversi dai nostri, studiano e sfruttano la comunicazione assai meglio di quanto non faccia la nostra categoria, che produce o asseconda tante volte messaggi incoerenti.
Vale il detto: chi è causa del suo mal, pianga se stesso!
Angelo Troi – Segretario SIVELP