Il farmaco veterinario, (come l’antibiotico, l’animal-welfare ed altri grandi argomenti), sono oggetto di dibattito da molti anni in Italia.
Almeno da quando il D.lgs. 06/04/2006 n. 193 – Attuazione della Direttiva 2004/28/CE, ha iniziato a produrre i suoi effetti nella pratica.
La direttiva, che obbligava lo Stato membro a “dirigersi” verso determinati obiettivi, senza stabilire il “come”, è stata attuata con dei provvedimenti nazionali. L’applicazione nostrana ha creato non poche difficoltà. Per un motivo molto semplice: a fare le leggi sono stati soggetti che non usano il farmaco, strumento di lavoro del veterinario pratico. É come chiedere ad un vecchio scapolo consulenze sulla vita di coppia…
I principali effetti deleteri si possono riassumere in una complicazione paurosa, tale da rendere quasi impossibile una gestione formalmente corretta nei settori produttivi (cioè senza errori e conseguenti sanzioni), ed un dispendio inutile di energie attorno ad animali da compagnia, che poco o nulla hanno a che fare con l’interesse collettivo.
- Questo porta burocrazia che contribuisce alla chiusura delle aziende, oberate di adempimenti improduttivi;
- aumenta il costo delle cure negli animali da compagnia, vincolando i proprietari ed i veterinari al prodotto veterinario quando si potrebbe benissimo lasciare la scelta al veterinario curante;
- produce costi per lo Stato, controlli e controllori;
- rende impossibile essere sempre “a posto” ai liberi professionisti.
Ora si affaccia all’orizzonte un Regolamento europeo, che non “dirige” verso obiettivi, ma regola dall’alto il settore; provvedimento immediatamente esecutivo in tutti gli Stati. In questo Regolamento resterebbe, tra le altre cose, il principio “della cascata”, che ci toglie la facoltà di ricettare secondo scienza e coscienza, limite che nessuna professione medica ha mai accettato nel nostro Paese. La cosa si spiega facilmente: Unione europea è fatta di diverse realtà molte delle quali sono assai distanti dalla nostra, quindi seguono altre vie (farmaco venduto dal veterinario, adempimenti ridotti, assenza di preparazione teorica sui principi attivi, mercati diversi e specie zootecniche diverse, ecc…).
Se tuttavia chi interloquisce con le Istituzioni europee avesse portato in quelle sedi proposte di semplificazione -ci chiediamo- non sarebbero state accolte? Il dubbio, forse legittimo, è che i tavoli abbiano rassicurato gli astanti, ma in Europa siano andati con carte diverse. Oppure non ci considerano, non sappiamo difendere i nostri interessi o non siamo credibili? Tolti ovviamente gli interessi particolari, per lo più legittimi, di chi vede nel farmaco veterinario il proprio “mercato”. Ma allora tutti i tavoli, i convegni, le discussioni, le raccolte di osservazioni…, sono stati completamente ignorati? Parrebbe proprio di sì. Anzi si afferma ora che l’Europa ci “obbliga”, come se la terza economia dell’Unione dovesse presentarsi col cappello in mano per chiedere alcune banali razionalità (per usare un’immagine cara a Matteo Renzi).
Credete forse che il Regno Unito rinuncerebbe alla guida a destra perché in Europa la guida è a sinistra?
Il regolamento è ancora una “bozza” ma è il caso di far sentire la voce di coloro che usano il farmaco come strumento di lavoro. Portare le ragioni di quell’interesse collettivo che chiede cure meno onerose per gli animali da compagnia e meno adempimenti per le aziende agricole.
Cambiamo, perché chi ha raccolto le nostre istanze -quelle della libera professione- le ha gettate nella carta straccia. In Europa sono arrivate di sicuro le osservazioni di portatori di interessi diversi, ma non è altrettanto certo che siano arrivate quelle -altrettanto e forse più legittime-, dei veterinari pratici.
Angelo Troi – SIVELP – Veterinari liberi professionisti
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