Non vi è dubbio che il mercato del lavoro debba avere meno rigidità, se vogliamo sperare in nuovi investimenti e far ripartire la crescita economica. Ma così non va!
Nel caso dei professionisti – come SIVeLP continua a denunciare- le garanzie dei lavoratori sono ormai ai livelli dei campi di cotone ai tempi della Guerra di Secessione.
Nella nostra professione esiste naturalmente il freelance (nell’accezione di professionista che collabora con varie strutture e colleghi), ma non sono ammissibili forme di sfruttamento, che si registrano con sempre maggior frequenza.
Vi sono laureati che collaborano con il pubblico senza che venga loro riconosciuta nemmeno l’assicurazione che copre i rischi intrinseci alle mansioni che svolgono ma anche, e soprattutto, professionisti che a tutti gli effetti dovrebbero essere dei dipendenti per il tipo di collaborazione instaurata ed invece risultano “assunti” come false partite iva, pagati un paio di euro all’ora, lasciati a casa non appena non servono più o non sono sufficientemente “assertivi”.
Coloro che non retribuiscono dignitosamente i Colleghi, non li regolarizzano e spesso li vincolano a lavorare in nero, dovrebbero essere percepiti dalla Categoria come portatori di illegalità da marginalizzare ed escludere. Al contrario abbiamo chi si gloria apertamente che le regole sulle false partite iva volute dalla tanto contestata Min. Fornero, non si applichino ai professionisti, cronicizzando lo sfruttamento.
Non vi è dubbio che abbiamo troppi laureati in veterinaria (ed in una moltitudine di indirizzi affini). Dichiarare che il fabbisogno è zero non ha sortito grandi effetti visto che ci si è sempre, probabilmente, basati più sui fabbisogni del mondo accademico e ipotetiche (miopi) nuove assunzioni nel Sistema Sanitario, anzichè su dati reddituali ed occupazionali. Il minor numero di ingressi nelle facoltà è in buona parte vanificato prima dalla saturazione, poi dalla stagnazione del mercato e dalla perdita di competenze a favore delle numerose altre figure emergenti.
Comunque molti giovani, per di più mal orientati e mal consigliati al momento della scelta universitaria, continuano ad iscriversi a medicina veterinaria. Purtroppo non vi sono abbastanza collegamenti tra il mondo accademico e la realtà lavorativa e nel percorso di studi le implicazioni dell’occupazione restano solo un orizzonte sfumato. Invece la realtà è un altra: pare di osservare più preoccupazione anche nel post-laurea per la chirurgia estetica dei cagnetti (peraltro quasi per nulla messa in discussione sulle persone) che per Colleghe cacciate dal lavoro appena aspettano un figlio. Sappiamo di neo-laureati lasciati a casa se non “pagano” abbastanza l’alloggio in cui sono ospitati, vero e proprio ricatto di chi con una mano finge di remunerarli e con l’altra si riprende i soldi con la scusa di fornire loro un tetto. E poi ancora altri -anche non più giovani- puntualmente espulsi (con possibilità di trovare alternative quasi nulle) appena si profila la possibilità di sostituirli con qualcuno con minori pretese. Per non parlare di ONLUS che si moltiplicano eludendo assunzioni regolari e tassazione.
Forse i dati drammatici sui profili reddituali e pensionistici dei veterinari non vanno cercati nella tanto sbandierata “evasione fiscale”, ma in un sistema di sfruttamento ormai radicato e consolidato, che fa comodo a molti, troppi. Tanti veterinari con poca capacità contrattuale sono un bacino sicuro per tutti coloro che hanno qualcosa da ricavarne, dalla manodopera a basso prezzo ai corsi di aggiornamento e qualifiche “salvifiche”. In questo modo, la manodopera a basso prezzo consente di creare strutture al di fuori delle regole di mercato e danneggia fortemente le casse di previdenza. Sembra un paradosso pensare che chi si iscrive ad un albo quasi senza reddito debba versare i contributi, ma non si faccia nulla contro chi -quel reddito- non contribuisce ad accrescerlo retribuendo il lavoro in modo corretto, ma eludendo -invece- i contributi.
Mai come in questi anni di crisi si squarcia il velo per chi vuol vedere sull’illegalità del mondo del lavoro e la necessità di regole rispettate. Mai è si è sentito, come oggi, l’assordante silenzio di chi distoglie l’attenzione da problemi che coinvolgono la stessa capacità di mantenersi in modo dignitoso di laureati-persone, per strepitare su vacui slogan mediatici. Slogan vuoti se confrontati con quello che non a caso anche la Costituzione contempla fra i diritti fondamentali: un reddito dignitoso che derivi da un esercizio professionale altrettanto dignitoso. SIVeLP, con il sostegno degli Iscritti, continuerà a denunciare e stimolare, cercando di promuovere una presa di coscienza dei diritti e doveri, argomenti fondanti su cui basare, in un secondo tempo, tanti altri discorsi.
Angelo Troi – SIVeLP