Il Sindacato dei veterinari liberi professionisti (SIVELP), a fronte di tentativi di coinvolgere la categoria nelle responsabilità del randagismo, non ammette che si addossino ai veterinari colpe del mancato funzionamento della registrazione dei cani. Gli unici che applicano le leggi in modo compiuto e che hanno accettato di farlo …
Il Sindacato dei veterinari liberi professionisti (SIVELP), a fronte di tentativi di coinvolgere la categoria nelle responsabilità del randagismo, non ammette che si addossino ai veterinari colpe del mancato funzionamento della registrazione dei cani. Gli unici che applicano le leggi in modo compiuto e che hanno accettato di farlo a costi irrisori, sono proprio i liberi professionisti -afferma il dott. Angelo Troi, segretario nazionale del Sindacato-. Basta fare un confronto tra le Regioni: quelle in cui l’applicazione avviene senza il coinvolgimento dei Liberi, sono aree in testa alle classifiche del randagismo. Diciamo piuttosto che l’ irresponsabilità dei proprietari, l’assenza dei controlli, le resistenze nel comminare sanzioni, la mancanza di cultura assicurativa, fanno in modo che l’opinione pubblica sia spesso sorda ai nostri inviti. La nostra categoria è la prima interessata ad una detenzione responsabile degli animali, al loro benessere. Purtroppo, siamo di fronte ad una marea di contaddizioni, con un anagrafe nazionale che rispecchia una realtà a macchia di leopardo, con regioni virtuose ed altre al palo, con meccanismi contorti indegni dell’informatizzazione contemporanea. Abbiamo poi tutta una sub-cultura, non del tutto coerente, che invece di pretendere un taglio netto del randagismo, continua a promuovere l’adozione di animali a costo zero, giocando con i buoni sentimenti. Giustificando, a ragione, la presenza dei randagi con la responsabilità dell’uomo, ma senza poi accettare, a torto, interventi risolutivi, neanche di fronte a delle vittime di aggressioni. In questo modo si producono due effetti negativi, il primo è quello di dare l’idea che il cane si trovi per strada (e così ci ritorna). Il secondo, assai più grave dal punto di vista “ideologico”, è che la socializzazione e l’imprinting siano superflui. Invece un cane è un’animale sociale, che ha assolutamente bisogno di passare i primi mesi di vita in cucciolata, e quindi di essere accompagnato in famiglia con consigli ed indicazioni. Non è un “pacco a provenienza ignota” che si appoggia in un angolo dell’appartamento. Il suo carattere e la sua convivenza con l’uomo, seguono delle regole che purtroppo non sono applicabili ad animali dal passato incerto. In questo modo si crea un circolo vizioso di abbandoni e di adozioni. Questo lascia molti punti interrogativi, tra cui quelli del benessere animale (che pochi possono ammettere in un canile e dovrebbe spingerci a chiedere per quanti anni è lecito), e dei costi sociali: quei cani sono mantenuti a vita dalla collettività, attingendo in larga parte da fondi della sanità; sono spesso portatori e diffusori di malattie che coinvolgono loro e l’uomo, sono un pericolo per gli altri animali e per le persone. Occorre quindi cambiare la cultura della convivenza con gli animali domestici perchè, essendo noi i primi responsabili della loro esistenza, abbiamo il dovere di interventi razionali, limitando le adozioni agli animali effettivamente “sicuri”, promuovendo il controllo della riproduzione, evitando di creare concentrazioni di animali eccessive, se non altro in nome del diritto di esistere di altre specie -loro prede-, e della loro stessa salute. Segreteria Sivelp www.sivelp.it Il Sindacato dei veterinari liberi professionisti (SIVELP), a fronte di tentativi di coinvolgere la categoria nelle responsabilità del randagismo, non ammette che si addossino ai veterinari colpe del mancato funzionamento della registrazione dei cani. Gli unici che applicano le leggi in modo compiuto e che hanno accettato di farlo a costi irrisori, sono proprio i liberi professionisti -afferma il dott. Angelo Troi, segretario nazionale del Sindacato-. Basta fare un confronto tra le Regioni: quelle in cui l’applicazione avviene senza il coinvolgimento dei Liberi, sono aree in testa alle classifiche del randagismo. Diciamo piuttosto che l’ irresponsabilità dei proprietari, l’assenza dei controlli, le resistenze nel comminare sanzioni, la mancanza di cultura assicurativa, fanno in modo che l’opinione pubblica sia spesso sorda ai nostri inviti. La nostra categoria è la prima interessata ad una detenzione responsabile degli animali, al loro benessere. Purtroppo, siamo di fronte ad una marea di contaddizioni, con un anagrafe nazionale che rispecchia una realtà a macchia di leopardo, con regioni virtuose ed altre al palo, con meccanismi contorti indegni dell’informatizzazione contemporanea. Abbiamo poi tutta una sub-cultura, non del tutto coerente, che invece di pretendere un taglio netto del randagismo, continua a promuovere l’adozione di animali a costo zero, giocando con i buoni sentimenti. Giustificando, a ragione, la presenza dei randagi con la responsabilità dell’uomo, ma senza poi accettare, a torto, interventi risolutivi, neanche di fronte a delle vittime di aggressioni. In questo modo si producono due effetti negativi, il primo è quello di dare l’idea che il cane si trovi per strada (e così ci ritorna). Il secondo, assai più grave dal punto di vista “ideologico”, è che la socializzazione e l’imprinting siano superflui. Invece un cane è un’animale sociale, che ha assolutamente bisogno di passare i primi mesi di vita in cucciolata, e quindi di essere accompagnato in famiglia con consigli ed indicazioni. Non è un “pacco a provenienza ignota” che si appoggia in un angolo dell’appartamento. Il suo carattere e la sua convivenza con l’uomo, seguono delle regole che purtroppo non sono applicabili ad animali dal passato incerto. In questo modo si crea un circolo vizioso di abbandoni e di adozioni. Questo lascia molti punti interrogativi, tra cui quelli del benessere animale (che pochi possono ammettere in un canile e dovrebbe spingerci a chiedere per quanti anni è lecito), e dei costi sociali: quei cani sono mantenuti a vita dalla collettività, attingendo in larga parte da fondi della sanità; sono spesso portatori e diffusori di malattie che coinvolgono loro e l’uomo, sono un pericolo per gli altri animali e per le persone. Occorre quindi cambiare la cultura della convivenza con gli animali domestici perchè, essendo noi i primi responsabili della loro esistenza, abbiamo il dovere di interventi razionali, limitando le adozioni agli animali effettivamente “sicuri”, promuovendo il controllo della riproduzione, evitando di creare concentrazioni di animali eccessive, se non altro in nome del diritto di esistere di altre specie -loro prede-, e della loro stessa salute. Segreteria Sivelp www.sivelp.it
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