Cassazione: il conflitto di interessi ed i nuovi albi/elenchi che limitano l’esercizio professionale.
La Cassazione SEZIONI UNITE: l’Art. 2 del DPR 137/2012. Ovvero, si parla di altro, ma interessa anche i veterinari (e molto!).
Le Sezioni Unite della Corte di Cassazione si sono recentemente pronunciate su fattispecie inerente la cancellazione (poi ritenuta legittima) da parte di un Ordine Professionale dell’avvocato che intendeva continuare a mantenere il rapporto di pubblico impiego seppur part-time, esercitando nel contempo anche la professione di avvocato. Le sezioni Unite (SS.UU.) rappresentano l’organo più autorevole della Corte suprema di Cassazione, massimo grado della giustizia italiana. I loro giudizi sono formulati da otto membri, presieduti dal Primo Presidente della Corte di Cassazione.
La pronuncia cui facciamo riferimento (Cass., SS UU 05-12-2013, n. 27266), è di particolare interesse anche per la nostra categoria professionale in quanto si riferisce a principi e norme che riguardano tutte le categorie professionali. In particolare per due aspetti, entrambi condivisibili anche per la nostra professione di veterinari: 1) l’impossibilità di formazione di albi speciali, se non consentita da espressa previsione di legge; 2) i principi inerenti il conflitto di interesse tra soggetto avente rapporto di pubblico ed esercente anche attività di difensore privato.
Ma entriamo nel dettaglio: “il titolo secondo (liberalizzazioni, privatizzazioni ed altre misure per favorire lo sviluppo) all’art. 3, 1° comma (abrogazione delle indebite restrizioni all’accesso e all’esercizio delle professioni e delle attività economiche) stabilisce che comuni, province, regioni e Stato entro il 30 settembre 2012, dovranno adeguare i rispettivi ordinamenti al principio secondo cui l’iniziativa e l’attività economica sono libere ed è permesso tutto ciò che non è espressamente vietato dalla legge nei soli casi di:
a) vincoli derivanti dall’ordinamento comunitario e dagli obblighi internazionali;
b) contrasto con i principi fondamentali della Costituzione;
c) danno alla sicurezza, alla libertà, alla dignità umana e contrasto con l’utilità sociale;
d) disposizioni indispensabili per la protezione della salute umana, la conservazione delle specie animali e vegetali, dell’ambiente, del paesaggio e del patrimonio culturale;
e) disposizioni relative alle attività di giochi pubblici ovvero che comunque comportano effetti sulla finanza pubblica.
Il 5° comma dell’art. 3 poi, prevede che gli ordinamenti professionali devono garantire che l’esercizio dell’attività risponda senza eccezioni al principio di libera concorrenza, alla presenza diffusa dei professionisti su tutto il territorio nazionale, alla differenziazione e pluralità di offerta che garantisca l’effettiva possibilità di scelta degli utenti nell’ambito della più ampia informazione relativamente ai servizi offerti; con decreto del presidente della repubblica emanato ai sensi dell’art. 17, 2° comma, l. 23 agosto 1988 n. 400 gli ordinamenti professionali dovranno essere riformati entro dodici mesi dalla data di entrata in vigore del decreto suddetto per recepire determinati principi ivi enunciati tra i quali è opportuno richiamare quello sub a) secondo il quale l’accesso alla professione è libero ed il suo esercizio è fondato e ordinato sull’autonomia e sull’indipendenza di giudizio, intellettuale e tecnica, del professionista; la limitazione, in forza di una disposizione di legge, del numero di persone che sono titolate ad esercitare una certa professione in tutto il territorio dello Stato o in una certa area geografica, è consentita unicamente laddove essa risponda a ragioni di interesse pubblico, tra cui in particolare quelle connesse alla tutela della salute umana, e non introduca una discriminazione diretta o indiretta basata sulla nazionalità o, in caso di esercizio dell’attività in forma societaria, della sede legale della società professionale.
Il comma 5 bis dell’art. 3 dispone poi che le norme vigenti sugli ordinamenti professionali in contrasto con i principi di cui al 5° comma, lett. da a) a g), sono abrogate con effetto dalla data di entrata in vigore del regolamento governativo di cui al 5° comma e, in ogni caso, dal 13 agosto 2012.
Il comma 5 ter inoltre prevede che il governo entro il 31 dicembre 2012 provvederà a raccogliere le disposizioni aventi forza di legge che non risultano abrogate per effetto del comma 5 bis in un testo unico da emanare ai sensi dell’art. 17 bis l. 23 agosto 1988 n. 400.
La sentenza citata continua ricordando che: “Successivamente è stato emanato il d.p.r. 7 agosto 2012 n. 137 (regolamento recante riforma degli ordinamenti professionali a norma dell’art. 3, 5° comma, d.l. 13 agosto 2011 n. 138 convertito, con modificazioni, dalla l. 14 settembre 2011 n. 148) il cui art. 2 (accesso ed esercizio dell’attività professionale) prevede:
«1. Ferma la disciplina dell’esame di Stato, quale prevista in attuazione dei principi di cui all’art. 33 Cost., e salvo quanto previsto dal presente articolo, l’accesso alle professioni regolamentate è libero. Sono vietate limitazioni alle iscrizioni agli albi professionali che non sono fondate su espresse previsioni inerenti al possesso o al riconoscimento dei titoli previsti dalla legge per la qualifica e l’esercizio professionale, ovvero alla mancanza di condanne penali o disciplinari irrevocabili o ad altri motivi imperativi di interesse generale.
2. L’esercizio della professione è libero e fondato sull’autonomia e indipendenza di giudizio, intellettuale e tecnico. La formazione di albi speciali, legittimanti specifici esercizi dell’attività professionale, fondati su specializzazioni ovvero titoli o esami ulteriori, è ammessa solo su previsione espressa di legge.”.
Pertanto, in ragione delle richiamate disposizioni normative, è evidente che non sussistendo alcuna espressa previsione di legge non sono legittimi albi speciali. Per quanto riguarda la veterinaria, non sono legislativamente previsti (né ammissibili) albi/elenchi per ippiatri, tele-anestesisti, veterinari per esotici ecc. o per altre sorte di “specializzazioni” non contemplate in alcun dispositivo di legge. Come abbiamo sottolineato più volte, l’abilitazione all’esercizio della professione ci deriva da un Esame di Stato ed ogni ulteriore limitazione costituisce per il Sindacato una sottrazione indebita di competenze, quando non un autentico e concreto danno derivante dall’impossibilità di esercitare in totale pienezza il “mandato professionale” conferitoci dallo Stato.
In merito al conflitto di interesse sussistente per il professionista dipendente pubblico di esercizio anche di attività libero professionale, ancorché le interpretazioni siano piuttosto restrittive riguardo ai medici che operano nel settore della prevenzione, si sottolinea che le argomentazioni svolte dalla Corte di legittimità in relazione all’esercizio dell’attività professionale forense sono logicamente estensibili anche all’attività del veterinario (seppur per tale attività non risulti allo stato legislativamente prevista l’incompatibilità assoluta tra impiego pubblico e libera professione).
E’ infatti evidente che se “l’incompatibilità tra impiego pubblico par-time ed esercizio della professione forense risponde ad esigenze specifiche di interesse pubblico correlate proprio alla peculiare natura di tale attività privata ed ai possibili inconvenienti che possono scaturire dal suo intreccio con le caratteristiche del lavoro del pubblico dipendente; la l. 339/03 è finalizzata infatti a tutelare interessi di rango costituzionale quali l’imparzialità ed il buon andamento della pubblica amministrazione (art. 97 Cost.) e l’indipendenza della professione forense onde garantire l’effettività del diritto di difesa (art. 24 Cost.); in particolare la suddetta disciplina mira ad evitare il sorgere di possibile contrasto tra interesse privato del pubblico dipendente ed interesse della pubblica amministrazione, ed è volta a garantire l’indipendenza del difensore rispetto ad interessi contrastanti con quelli del cliente; inoltre il principio di cui all’art. 98 Cost. (obbligo di fedeltà del pubblico dipendente alla nazione) non è poi facilmente conciliabile con la professione forense, che ha il compito di difendere gli interessi dell’assistito, con possibile conflitto tra le due posizioni; pertanto tale ratio, tendente a realizzare l’interesse generale sia al corretto esercizio della professione forense sia alla fedeltà dei pubblici dipendenti, esclude che con la normativa in oggetto si sia inteso introdurre dei limiti all’esercizio della professione forense o comunque delle modalità restrittive della organizzazione di tale attività.”, a maggior ragione dovrebbe essere legislativamente sancita l’incompatibilità tra impiego pubblico par-time ed esercizio della libera professione veterinaria in quanto ciò risponde ad esigenze specifiche di interesse pubblico correlate proprio alla peculiare natura di tale attività privata ed ai possibili inconvenienti che possono scaturire dal suo intreccio con le caratteristiche del lavoro del pubblico dipendente e ciò per la tutela di interessi di rango costituzionale quali l’imparzialità ed il buon andamento della pubblica amministrazione (art. 97 Cost.) e l’indipendenza della professione veterinaria onde garantire l’effettività del diritto alla salute (art. 32 Cost.). Infatti, una tale disciplina eviterebbe il sorgere di possibile contrasto tra interesse privato del pubblico dipendente ed interesse della pubblica amministrazione, essendo volta a garantire l’indipendenza del veterinario pubblico dipendente rispetto ad interessi contrastanti con quelli del cliente, di cui comunque oggi si fa contraddittoriamente carico il soggetto che contestualmente svolge due attività con finalità contrastanti, ovvero da un lato l’interesse della collettività (ad esempio: alimenti prodotti nel rispetto della normativa di settore), dall’altro l’interesse del privato destinatario che paga la prestazione (ad esempio: interesse commerciale alla vendita dei medesimi prodotti oggetto dei pubblici controlli). Questi aspetti, a ben vedere, trovano applicazione in tantissime realtà della medicina veterinaria, dal farmaco all’autorizzazione delle strutture, dalla filiera alimentare al controllo sull’igiene e l’operato del privato.
Le sentenze delle Sezioni Unite rappresentano la massima espressione dei pronunciamenti di un Organo di Giustizia. Per questa loro peculiarità, non vi possono essere ulteriori giudizi in contrasto con quanto statuito in questa sede.
Angelo Troi – Segretario SIVeLP
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