20/05/2009 Editoriali18 Minuti

ECM: basta prese in giro.

Sivelp

Se il sito ufficiale del Ministero della Salute parla di obbligo per tutti, dipendenti e liberi professionisti e la Federazione Nazionale degli Ordini dei Veterinari stabilisce (unilateralmente?) la non applicazione ai liberi professionisti del provvedimento cosa dobbiamo fare?

Possiamo accettare un sistema complicato ed inefficace, costoso e non condivisibile, che rischia di creare il rigetto totale per la formazione post-laurea? Possiamo ammettere di renderci parte di un mostruoso meccanismo parassitario, in cui molti sguazzano nel più vergognoso dei modi?

Alle prese di posizione del Ministero, Il Sindacato ha risposto con le proprie proposte, da associazione libera e priva di interessi nell'”affare”, qual’è.

Qui le possibilità sono due: o il Ministero pubblica chiarimenti non veri, o la FNOVI ci stà raccontando una bella favola. Di solito in Italia si dorme fino a quando qualcuno non sanziona e poi ci si straccia le vesti. Noi abbiamo preso una posizione chiara, denunciando un sistema inapplicabile che antepone gli interessi del “bazar dei corsi” ai veri scopi dell’aggiornamento.

Di seguito la lettera del Sivelp e l’articolo sull’obbligo ECM del sito del Ministero.

Al Ministro della Salute On. M. Sacconi,

Al Ministro per la Semplificazione On. R. Calderol,i

Al Ministero della Salute Ufficio V-Direttore dott.ssa M. Linetti.

Al Presidente FNOVI dott. G. Penocchio.

Liberi Professionisti ed Educazione Medica Continua

Come conferma l’Accordo Stato-Regioni del 01.08.2007 in relazione alla Quantificazione dell’Obbligo Formativo, “L’Italia è l’unico Paese che prevede ECM obbligatorio non solo per i medici, ma per tutte le professioni sanitarie (circa 1.000.000 di soggetti). Questa decisione è basata sul giusto principio che la qualità dell’azione sanitaria non dipende solo dagli atti dei medici, ma da tutta la filiera di decisioni e di azioni dei vari professionisti della Sanità coinvolti in una determinata procedura sanitaria.”. L’affermazione di principio riportata, -esito di un lungo percorso inizialmente intrapreso per quantificare e standardizzare la valutazione e la formazione dei dipendenti e dei concorsi pubblici-, riposa sull’assunto che vi sia una stretta (ed evidente) interrelazione tra i vari aspetti della salute tanto umana quanto degli animali, ragion per cui oggi non è dato esercitare una professione sanitaria senza un costante aggiornamento della preparazione di ciascun operatore. Tuttavia, l’attuale sistema di Educazione Continua in Medicina non può certo dirsi sia riuscito a tradurre tale valido e condivisibile principio olistico in un sistema efficiente e giusto, quantomeno per i liberi professionisti, e soprattutto per i VETERINARI liberi professionisti. Questi ultimi, infatti, se da un lato hanno il dovere (sia per quanto stabilito in materia di ECM, nonché ai sensi dell’art. 16 del Cod. Deontologico) di aggiornarsi acquisendo “crediti” in virtù della ricordata “qualità dell’azione sanitaria”, dall’altro non vedono le loro prestazioni considerate a tutti gli effetti come “atti medici”. Innanzitutto dal punto di vista fiscale –dove le prestazioni dei veterinari liberi professionisti sono considerate alla stregua di servizi, tanto che ad esse si applica l’imposta sul valore aggiunto all’aliquota del 20% (quando, invece, tutte le prestazioni sanitarie ne sono completamente esenti). Questa discriminazione si accentua considerando che, ad oggi, le ulteriori proposizioni dell’Accordo Stato-Regioni del 1.08.2007 volte a colmare il divario esistente tra i pubblici dipendenti, i quali come noto accedono gratuitamente ed in orario remunerato di lavoro agli aggiornamenti di ECM, ed i liberi professionisti, sono rimaste lettera morta. Sempre secondo l’Accordo citato: “E’ evidente come ogni eventuale obbligo per i liberi – professionisti debba fondarsi su alcune precise garanzie normative ed individuare agevolazioni sui costi sopportati; parimenti potrebbe essere diversamente individuato il debito complessivo dei crediti e la composizione del Dossier Formativo” (Accordo Stato – Regioni 01.08.2006, Destinatari pg. 6).” . Va poi considerato che tale situazione di discriminazione, già palesemente in contrasto con l’art. 3 della Costituzione, va ad incidere su una situazione reddituale alquanto modesta: infatti,il reddito medio di un veterinario libero professionista è pari (da fonte ENPAV) a circa € 14.000 Euro e chi lavora da poco non avrebbe possibilità alcuna di sostenere la spesa. Tale reddito è tra i più bassi delle categorie professionali, ed ora dovrà necessariamente contrarsi, dovendo il libero professionista rinunciare quantomeno a 10/15 giornate lavorative per conseguire i sospirati crediti, assegnati in numero esiguo agli eventi congressuali dei medici veterinari e ben lungi dalle teoriche 40 ore di formazione richieste in alcune realtà (ai medici Europei e Statunitensi). A ciò si aggiunga che nel nostro Paese è oggi concentrato oltre un quarto dei veterinari di tutta Europa, che hanno conseguito il titolo in una delle tante università italiane che ogni anno – senza vincolo alcuno e/o barriera selettiva – immettono sul mercato non meno di un migliaio di laureati. E’ chiaro che in tali condizioni oggettive, anche prescindendo da tutti gli ulteriori aspetti di inefficienza dell’attuale sistema di ECM, segnalati da più fonti e relativi alle modalità dell’accreditamento, all’utilizzo dei referee, alla marginalizzazione del ruolo dei Collegi degli Ordini come formatori solo in materia di etica, deontologia e legislazione, risulta improrogabile un intervento che porti a rendere disponibili validi eventi formativi promossi per aggiornare il professionista “sull’azione sanitaria” e non solo per fargli conseguire un credito, magari ottenuto seguendo costosi seminari su argomenti del tutto marginali o altamente specialistici, forse di grande interesse per il singolo ma che ben poco hanno a che vedere con la richiamata “azione sanitaria”; una riduzione (o meglio: un annullamento) del costo dell’aggiornamento per i liberi professionisti; una chiara definizione di atto medico in relazione alle prestazioni svolte dai Veterinari, agli obblighi ed oneri a cui questi ultimi sono tenuti. In tale prospettiva, come altre categorie professionali hanno già sperimentato, anziché una panacea in cui medici, odontoiatri, farmacisti, veterinari vengono accomunati nella folle corsa ai noti crediti, e quantomeno per i Veterinari liberi professionisti, sarebbe forse auspicabile una diversa configurazione del dovere di aggiornamento. Infatti, se tale dovere fosse previsto esclusivamente quale dovere deontologico (come peraltro già previsto dall’art. 16 Cod. Deon.) e la FNOVI fosse investita del compito di dettarne con proprio regolamento le modalità attuative (ivi comprese quelle sanzionatorie), si potrebbe prospettare un sistema più articolato e distinto per categorie professionali, ma al contempo più aderente alle esigenze della categoria, libera di organizzare le proprie risorse umane, di conoscenza in funzione di tali esigenze, ma sempre nella prospettiva di perseguire la “qualità dell’azione sanitaria”. Tale obbligo potrebbe essere assolto con un numero congruo di crediti, che non superi un impegno di 2/3 giornate per anno e autocertificato su richiesta dell`Ordine, eliminando il complesso ed oneroso sistema della banca dati. L`Ordine stesso sarebbe poi garante della qualità dei processi formativi, limitati a poche e selezionate materie di interesse generale, ridimensionando il macchinoso sistema degli accreditamenti e garantendo la formazione con i fondi della quota annuale; prospettiva ben più realistica di una defiscalizzazione dell’investimento formativo, manovra di pura facciata in considerazione degli esigui redditi della categoria. Sempre l’Ordine potrebbe valutare le situazioni particolari, ove risulti appropriato il ricorso alla Formazione a Distanza, evitando ancora una volta, che coloro che esercitano in situazioni territorialmente difficili, vedano aggravarsi il loro disagio da obblighi di spostamento insostenibili. In definitiva, proponiamo il passaggio da un sistema complesso ad uno più semplice, equo, e concretamente applicabile. Chiediamo di eliminare la burocrazia, favorire il decentramento, uscire da un sistema “sperimentale” da otto anni, e scongiurare gli effetti nefasti di una logica lontana dalla realtà applicabile, con imprevedibili ricadute anche sui costi per gli utenti.

Il Segretario. (Dott. Angelo Troi) DAL SITO DEL MINISTERO DELLA SALUTE

Obbligatorietà ECM per i liberi professionisti

Alcune Associazioni professionali di operatori sanitari, con riferimento alle considerazioni svolte dal TAR Lazio nella sentenza n. 14062/2004 del 18 novembre 2004 che ha rigettato il ricorso proposto dalla FIMMG avverso il decreto del Ministro della salute 31 maggio 2004, hanno chiesto alla Segreteria della Commissione nazionale ECM conferma dell’obbligatorietà del Programma ECM per i liberi professionisti. Le perplessità sulla obbligatorietà dell’ECM per i liberi professionisti sono derivate dal fatto che il TAR Lazio, nella richiamata sentenza, “per una migliore comprensione dei fatti in causa”, ha osservato, fra l’altro, che “L’ECM s’appalesa obbligatoria solo per i sanitari dipendenti dagli enti del SSN, o per quelli che con esso collaborano in regime di convenzione o d’accreditamento, tant’è che questo se ne accolla i costi. Viceversa, per i professionisti, che erogano prestazioni sanitarie non coperte dal SSN, il controllo della prestazione connesso alla formazione e all’aggiornamento è rimesso, oltre che al mercato (ossia all’apprezzamento, o meno, del cliente-paziente), agli Ordini ed ai Collegi professionali, onde per costoro l’ECM rappresenta un onere, non già un obbligo”. Al riguardo si premette che, nella sentenza in questione, il TAR Lazio non ha affrontato il problema dell’obbligatorietà o meno dell’ECM per i liberi professionisti, ma si è limitato a svolgere, nelle premesse, alcune considerazioni sugli articoli 16-bis e 16-ter del decreto legislativo 502/92, e successive modificazioni, al fine di “chiarire per sommi capi il quadro fattuale e normativo di riferimento del DM impugnato”. Si osserva altresì che la interpretazione data alle richiamate disposizioni non è posta dal TAR a fondamento della decisione di rigetto del ricorso, che la soluzione di detta questione era del tutto ininfluente ai fini della decisione assunta e che l’obbligatorietà del programma ECM per i liberi professionisti non era oggetto di impugnativa da parte della FIMMG, che rappresenta i medici di famiglia legati da un rapporto convenzionale con il S.S.N. Le riflessioni sulla non obbligatorietà dell’ECM per i liberi professionisti, svolte dal TAR nelle premesse della sentenza, non sono condivisibili né sembrano fondate. Da una parte, non è sostenibile l’interpretazione della obbligatorietà o meno dell’ECM basata sulla diversa attribuzione dei costi dell’ECM fra dipendenti/convenzionati e liberi professionisti, in quanto, per il personale dipendente e convenzionato, il S.S.N. si accolla, solo in alcuni casi e solo in parte, i costi dell’ECM. Infatti gli accordi, sanciti dalla Conferenza Stato-Regioni, hanno previsto che “i costi delle attività formative possono gravare sulle risorse per il finanziamento del Servizio sanitario nazionale … solo entro il limite costituito dall’importo complessivo medio di spesa annualmente registrata nel triennio 2001/2003 per interventi formativi nel campo sanitario nelle singole Regioni”. Né, dall’altra, la obbligatorietà o meno dell’ECM si può basare sul “controllo della prestazione sanitaria” che, per il personale dipendente e convenzionato, sarebbe di competenza delle istituzioni mentre, nel caso dei liberi professionisti, sarebbe rimesso al mercato (ossia al cittadino) ed all’Ordine o Collegio professionale. Infatti il “controllo” della prestazione è comunque compito delle istituzioni e dell’ordine o collegio professionale (organo ausiliario delle istituzioni) ed è diretto a tutelare un prevalente interesse pubblico generale prescindendo dal rapporto che l’operatore sanitario ha con il S.S.N. e dall’eventuale assunzione anche parziale dei relativi oneri da parte delle strutture pubbliche. E’, quindi , da escludere che le suesposte considerazioni, incidentalmente svolte dal TAR nelle premesse della sentenza al solo fine di inquadrare la problematica di riferimento del D.M. impugnato, possano legittimare la interpretazione della non obbligatorietà dell’ECM per i liberi professionisti. Ciò premesso, si ritiene opportuno ribadire che il programma ECM è obbligatorio per tutti i professionisti della salute; gli articoli 16-bis e 16-ter del decreto legislativo 502 prevedono, in generale, l’obbligo formativo per tutti gli “operatori sanitari”. La Formazione continua è, infatti, un requisito essenziale per il corretto esercizio professionale, ossia per il mantenimento nel tempo dell’abilitazione all’esercizio professionale di ciascun operatore sanitario; in quanto tale, deve essere necessariamente obbligatoria per tutti i professionisti e richiedere regole e garanzie uniformi su tutto il territorio nazionale. Regole e garanzie che sempre di più saranno comuni a tutti i Paesi dell’Unione europea. La verifica periodica dell’abilitazione professionale, ossia la verifica del mantenimento di adeguati livelli di conoscenze professionali e del miglioramento delle competenze proprie del profilo di appartenenza, è possibile attraverso vari strumenti. L’ECM è, allo stato, l’unico strumento preordinato all’aggiornamento professionale ed alla formazione permanente per tutti i professionisti della salute che consente la verifica periodica del mantenimento dell’abilitazione professionale. Ovviamente saranno necessarie ulteriori specifiche disposizioni legislative in materia. Si rileva comunque che il d.d.l. governativo sulle professioni sanitarie non mediche (A.C. 3236) già prevede al riguardo che “l’abilitazione all’esercizio della professione sanitaria non medica è sottoposta a verifica periodica con modalità identiche a quelle previste per la professione medica” In tale prospettiva il Piano Sanitario 2003/2005, approvato con D.P.R. 23 maggio 2003, ha confermato chiaramente l’obbligatorietà della formazione continua per tutti i professionisti della salute. Il Piano sanitario, facendo riferimento al Programma ECM, fra i dieci progetti proposti per il cambiamento, prevede, infatti, quello di “realizzare una formazione permanente di alto livello in medicina e sanità” e, al riguardo, afferma che “elemento caratterizzante del programma è la sua estensione a tutte le professioni sanitarie”. Inoltre l’Accordo fra il Ministro della salute e le Regioni e le Province autonome di Trento e Bolzano, sancito dalla Conferenza Stato-Regioni del 20 dicembre 2001, ha fatto proprie le determinazioni assunte dalla Commissione nazionale per la formazione continua sulla obbligatorietà del Programma ECM per tutti i professionisti della salute; i successivi accordi non hanno modificato tale impostazione.

In conclusione, il Programma ECM deve ritenersi obbligatorio per tutti gli operatori sanitari dipendenti, convenzionati o liberi professionisti.

 

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