Chi scrive è stato citato, forse indirettamente, come autore di una stramberia dal dr. Luigi Poretti in uno dei suoi articoli sulla rivista Professione Veterinaria. La stramberia consisterebbe nell’aver ricordato ai Colleghi, in qualità di Presidente di un Ordine provinciale, che gli ECM non sono obbligatori. È noto, ed inutile rammentarlo, come un luogo comune asserisca che i cognomi hanno, in realtà, un fondo di verità che rispecchia caratteristiche personali. Io mi chiamo Strambi e vorrei presentare alcune argomentazioni atte a spiegare il senso dell’invio di una circolare con tale asserzione. Innanzitutto. Ho assolutamente presenti e condivido le motivazioni, il senso e la lettera dell’articolo 24 del Codice Deontologico dei Veterinari e, allo stesso tempo, sono cosciente del ruolo istituzionale degli Ordini, chiamati a vigilare sul corretto espletamento dell’attività professionale e di quanto ad essa collegato, a tutela degli utenti e, anche, dei pazienti. Sono talmente concorde che buona parte dell’attività dell’Ordine provinciale che presiedo, quello di Firenze e Prato, è impostata sull’individuazione dei fabbisogni formativi dei Colleghi e sull’organizzazione di eventi, serate, momenti di incontro e formazione gratuiti e non accreditati ECM, aperti a tutti. La collezione di quanto già organizzato nel corrente anno solare si arricchirà, nel prossimo anno di altre speriamo ancora più interessanti ed efficaci iniziative. Allora, cos’è successo. In una delle circolari indirizzate agli iscritti, pur sottolineando come l’aggiornamento rappresenti un’attività di fondamentale importanza per l’esercizio della pratica professionale, ricordando il testo dell’art. 24 citato ed incoraggiando i Colleghi ad ottemperarvi, ho al contempo evidenziato loro che l’acquisizione dei crediti ECM non è attualmente obbligatoria per i liberi professionisti e che la scelta dei corsi da seguire potesse, con indubbi vantaggi e riappropriazione del senso vero dell’attività da svolgere, essere effettuata secondo i propri personali interessi e non in funzione di un mero raggiungimento di un livello minimo di “punti” da conseguire. L’intento era ed è quello di far riacquistare il valore di “obbligo morale” e deontologico ad un’attività che si stava snaturando nella ricerca dei crediti a più basso costo e maggior convenienza, per ottemperare ad un obbligo imposto dall’esterno. Questa la stramberia di cui mi si accusa. Fare chiarezza e mettere, appunto, ordine in una materia in cui le informazioni fornite, non sappiamo se in buona o malafede, tendono ad istituire una sorta di costrizione, ingiustificata e strumentale, per i Colleghi. Tanto per ricordare. A partire dalla istituzione in Italia dell’ECM, avvenuta con il D. Lgs. 502/92, tutti i provvedimenti normativi che si sono succeduti nel tempo, e tra questi in particolare il D. Lgs. 229/99, hanno sempre stabilito che l’ambito di applicazione delle stesse norme era il personale sanitario dipendente, o convenzionato con il SSN o con strutture, anche private, ma dallo stesso accreditate. Il fine. Avviare un percorso virtuoso teso a migliorare e qualificare il servizio erogato dal SSN. La circolare del Ministero della Salute del 5 marzo 2002 indica invece l’obbligo di partecipazione al programma ECM per tutti gli operatori sanitari (dipendenti, convenzionati e liberi professionisti), in netto contrasto con tutte le disposizioni precedenti, aprendo quindi un evidente conflitto fra la normativa in vigore e la volontà espressa dallo stesso Ministero. Ora, senza per questo voler scendere in dettagli eccessivamente tecnici, i legali all’uopo interpellati hanno confermato che una circolare ministeriale è un atto che “non ha valore precettivo generale bensì – in quanto atto interno fondato sul potere di autorganizzazione – è idoneo a vincolare ai comportamenti in esso indicati solo l’Amministrazione destinataria” e che deve ricondursi a norme specifiche già esistenti. Si da il caso, invece, che la suddetta circolare appaia, invece, “priva di qualsiasi valore precettivo anche solo interno”, “più una comunicazione, una lettera informativa inviata a soggetti estremamente eterogenei (alcuni assolutamente non vincolabili nelle loro prerogative istituzionali) al fine di riassumere lo stato dell’arte in materia di formazione continua”. Se ne deduce, con sufficiente chiarezza, che un aspetto significativo ed importante quale l’obbligatorietà degli ECM non possa, stando alla giurisprudenza italiana, essere decisa da una circolare ministeriale, specialmente in assenza di leggi che, anche in maniera nebulosa e bisognosa di interventi chiarificatori, lo affermino primariamente. In questo contesto, aggravato dalla particolare situazione di indeterminazione dei compiti di controllo degli Ordini provinciali, dall’evidente assurdità derivante dalla possibilità di acquisire crediti anche partecipando a corsi non inerenti la propria pratica professionale, dalle altre incongruenze del sistema, dall’eccessivo aumento dei costi degli eventi derivante dal loro accreditamento con conseguente relativo onere per i Colleghi, perché non fornire a tutti una informazione che riteniamo corretta, anche se non condivisa? Beh! Non condivisa! Lo stesso dibattito che ha alimentato la mailing-list ANMVI, vetlink, testimonia la validità di quanto asserito, sopra e nella lettera incriminata (cfr. a tal proposito i messaggi dei giorni 17/06/02 e 21/06/02) ed affronta l’applicabilità del D. Lgs. 229/99 ai liberi professionisti non operanti in regime di convenzione con il SSN. A vantaggio dei Colleghi tutti ed a supporto dell’attività dei Presidenti degli Ordini provinciali, avremmo auspicato una più efficace attività chiarificatrice della FNOVI, un qualsiasi intervento teso a meglio definire e specificare gli aspetti inerenti la cogenza, le modalità attuative e di controllo, gli ambiti di applicabilità dell’ECM, le modalità di partecipazione. Sorprendono invece i paragoni proposti nell’articolo citato. Gli Ordini come il Fisco o la Polizia Municipale, i crediti ECM, tasse o multe. Sarebbe interessante avviare una riflessione sulla apparente casualità di questa relazione, in funzione soprattutto del punto di vista assunto da chi la propone e dei suoi rapporti con chi da questa presunta obbligatorietà trae solamente vantaggi. Paragoni, inoltre, che appaiono ingiustificati e non rispettosi dell’attenzione che all’aggiornamento pone molta o moltissima parte dei componenti della categoria veterinaria italiana, come dimostrano il prestigio e, soprattutto, la ricchezza, in termini numerici ma non solo, delle società culturali operanti in ambito veterinario. Non abbiamo bisogno di multe, né di ulteriori tasse. Di chiarezza e di ordine sì!
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