“Eccesso di prudenza” nei consigli di Luciano Onder durante la trasmissione “I Fatti Vostri”,
a proposito di Toxoplasmosi. Sicuramente ha avuto ragione nell’evidenziare i rischi di una patologia spesso trascurata, tuttavia un medico veterinario avrebbe saputo essere più attento ad un messaggio corretto di prevenzione. Il Video.
Il centro di referenza americano per le malattie infettive CDC, descrive il rischio antropo-zoonosico in questi termini:
Animal-to-human (zoonotic) transmission
Cats play an important role in the spread of toxoplasmosis. They become infected by eating infected rodents, birds, or other small animals. The parasite is then passed in the cat’s feces in an oocyst form, which is microscopic.
Kittens and cats can shed millions of oocysts in their feces for as long as 3 weeks after infection. Mature cats are less likely to shed Toxoplasma if they have been previously infected. A Toxoplasma-infected cat that is shedding the parasite in its feces contaminates the litter box. If the cat is allowed outside, it can contaminate the soil or water in the environment as well.
People can accidentally swallow the oocyst form of the parasite. People can be infected by:
- Accidental ingestion of oocysts after cleaning a cat’s litter box when the cat has shed Toxoplasma in its feces
- Accidental ingestion of oocysts after touching or ingesting anything that has come into contact with a cat’s feces that contain Toxoplasma
- Accidental ingestion of oocysts in contaminated soil (e.g., not washing hands after gardening or eating unwashed fruits or vegetables from a garden)
- Drinking water contaminated with the Toxoplasma parasite
Ovviamente nessuno ingerisce intenzionalmente le feci di gatto, ma allora come avviene la contaminazione? Il gatto diffonde generalmente il parassita per un periodo limitato, -circa 2 settimane in tutta la vita-, tuttavia esso (con i suoi analoghi felidi) costituisce l’unico ospite definitivo conosciuto di Toxoplasma Gondii. Possiamo dire che è indispensabile al ciclo vitale del parassita. Nel periodo di escrezione delle oocisti l’emissione è massiccia ed il gatto presenta diarrea persistente. L’incapacità di trattenere le feci fa si che la lettiera (quando c’è) sia spesso trascurata. Inoltre il gatto si pulisce dall’imbrattamento fecale con il leccamento, rendendo potenzialmente possibile l’imbrattamento del muso e delle zampe. Il più delle volte la fase con sintomatologia evidente è a carico di gatti giovani, per cui il proprietario interviene a sua volta per mantenerli puliti. Le forme infestanti producono diffusione del parassita nei mammiferi e negli uccelli, dove si localizzano in tutto il corpo, dal muscolo al cervello, sotto forma di cisti. Il potenziale patogeno di esse non è ancora del tutto conosciuto ma è piuttosto logico pensare che una ciste in organi molto “delicati”, come il cervello, possa recare qualche genere di disturbo. Tuttavia il problema più conosciuto riguarda le donne che vengono in contatto per la prima volta con il parassita in gravidanza.
Dal sito del Policlinico di Milano possiamo ricavare alcuni dati sulla diffusione della toxoplasmosi: “La toxoplasmosi è un’infezione piuttosto frequente; si stima che in Italia (paese a media incidenza) circa 5 donne su 1000 contraggono l’infezione nel corso della gravidanza.” I casi sono in aumento e purtroppo è una malattia sotto-diagnosticata. Lo stesso sito parla anche delle conseguenze: dalla morte del feto, all’asintomaticità completa.
INFEZIONE FETALE ≠ DANNO FETALE.
Le donne infettate prima del concepimento non trasmettono di norma la toxoplasmosi al feto. Il rischio di trasmissione al feto aumenta con l’avanzare dell’epoca gestazionale:
– 1.5% in epoca periconcezionale;
– 17% nel I trimestre;
– 35% nel II trimestre;
– 65% nel III trimestre.
La gravità dei danni è tanto più elevata quanto più precoce è l’infezione materna per immaturità del sistema immunitario fetale; infatti i casi clinicamente sintomatici di toxoplasmosi congenita riguardano quasi esclusivamente i feti infettati prima della 26° settimana.
L’esito per un bambino nato con infezione congenita da toxoplasmosi comprende tutte le possibilità: dalla normalità alla morte in utero.
Qualora il danno si verifichi, questo spesso si evidenzia a carico del sistema nervoso centrale e si manifesta con corioretinite, idrocefalo e calcificazioni intracraniche, ma tali gravi sintomi sono presenti solo nel 10-20% dei feti infetti, mentre più del 75% dei neonati infettati in utero è asintomatico alla nascita. La maggioranza dei danni gravi si verifica in feti che hanno contratto l’infezione nel I trimestre di gravidanza. Altre possibili manifestazioni di infezione fetale sono: ritardo di accrescimento endouterino e prematurità. Sono descritti in letteratura segni neurologici quali convulsioni, nistagmo e microcefalia che sono tuttavia molto rari, mentre meno grave ma più frequente, risulta invece la corioretinite. In circa metà dei casi è presente bilateralmente, in alcuni casi si può associare ad atrofia del nervo ottico, strabismo, nistagmo e/o cataratta. Attualmente non vi sono parametri che permettano di prevedere l’esito dei neonati infetti asintomatici alla nascita, anche se i dati della letteratura indicano che le sequele più gravi si verificano nel neonato già sintomatico alla nascita. Per questo motivo è fondamentale proseguire con dei controlli clinici fino all’età scolare.
Una donna che contrae l’infezione dovrà assumere antibiotici per tutta la durata della gravidanza, per cercare di bloccare il passaggio del parassita al feto. Se invece risulta dagli esami una positività del liquido amniotico, la terapia sarà specifica per questa evenienza, anch’essa per tempi molto lunghi. L’impatto anche solo psicologico, come è facile capire, non è trascurabile.
Non è facile sapere con certezza come è stata contratto il parassita. La professoressa Wilma Buffolano in un articolo affermava:
Nei Paesi industrializzati, in cui le condizioni igieniche di preparazione e distribuzione degli alimenti sono elevate, più del 51% delle toxoplasmosi sono acquisite per ingestione di carni alberganti cisti di Toxoplasma (bradizoiti)».
Quindi la carne ha un ruolo chiave nella diffusione della toxoplasmosi?
«Esattamente. Da uno studio che ho condotto qualche tempo fa (Buffolano et al., 1996) si arrivava a calcolare che il 40% dei casi di toxoplasmosi in gravidanza poteva essere evitato eliminando carne cruda o poco cotta e insaccati dalla dieta della gestante».
Tuttavia, il 60% dei casi non dipende dal consumo di carne. é corretto affermare che le principali fonti di infezione siano gli alimenti vegetali?
«Assolutamente no. Nello studio europeo definito Multicentre case-control sui fattori di rischio per la toxoplasmosi in gravidanza, l’esposizione a vegetali crudi et similia risulta avere un rischio attribuibile solo del 17% (Cook et al., 2000)».
Ma quanti sono i casi in cui non si riesce a risalire ad una fonte di infezione certa?
«In effetti, va detto che il 51% delle infezioni riportate nello studio Multicentre case-control non aveva attributable risk per i fattori indagati».
Da questi numeri si evidenzia la responsabilità dei cibi nel 57% dei casi (carnecruda+vegetali). Il 43% deve essere spiegato in altro modo, ed include il contatto ed ingestione delle forme infestanti dal gatto all’uomo. Per un veterinario che ha visto qualche caso sintomatico ed il contesto in cui si manifesta, parlare semplicemente di pulire la lettiera con i guanti potrebbe anche lasciare qualche perplessità. Un gatto con diarrea incoercibile sporca dove capita e non si pone certo il problema di cosa sta contaminando. Lo stesso proprietario, non va a pensare alla toxoplasmosi al primo segno di feci molli del suo gattino. D’altra parte il ruolo del gatto è indispensabile e se la casistica c’è -ed è in aumento- significa che direttamente o indirettamente questa specie arriva a “chiudere” il ciclo biologico del parassita. Qualche studio su gattili e colonie feline potrebbe rivelare dati sorprendenti sulle positività.
Certamente è trascurabile il ruolo del gatto che vive tutta la vita in appartamento in città; sicuramente una cultura della sterilizzazione ridurrebbe gli animali senza padrone.
Ma il problema esiste e non è negandolo che si risolve.
Dr. Angelo Troi
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