24/09/2010 Editoriali9 Minuti

LA COMPAGNIA DI UN ANIMALE D’AFFEZIONE E’ O NON E’ UN DIRITTO INVIOLABILE DELLA PERSONA (DA RISARCIRE)?

Sivelp

La domanda potrebbe sembrare oziosa, ma come ben sanno tutti i liberi professionisti che s’occupano d’animali da compagnia, è oggi una questione fondamentale.

La domanda potrebbe sembrare oziosa, ma come ben sanno tutti i liberi professionisti che s’occupano d’animali da compagnia, è oggi una questione fondamentale. Infatti, con notevole frequenza i Giudici son chiamati a decidere su domande inerenti il risarcimento per danno da perdita dell’animale d’affezione, che sovente è da ricondursi (o meglio, viene ricondotta a torto o a ragione) all’attività professionale del veterinario. In tal caso, si fa riferimento ad un danno da cd inadempimento contrattuale. A prescindere –in questa sede- dai profili di diligenza, prudenza e perizia nell’esecuzione della propria attività che il professionista è sempre chiamato a rispettare all’atto di ogni prestazione, allo stato attuale del dibattito, è necessario considerare quanto statuito in due fondamentali pronunce della Corte di Cassazione. Una prima decisione (a Sezioni Unite, Cass. civ., sez. Unite 11-11-2008, n. 26972 ) ha sentenziato che il danno non patrimoniale (ivi compreso il danno da perdita d’animale d’affezione) è risarcibile nei soli casi “previsti dalla legge”, ovvero (per quanto di interesse in caso di inadempimento da parte del libero professionista) quando la legge espressamente lo prevede (come accade, ad esempio, nel caso di violazione del trattamento dei dati personali); oppure quando sono stati lesi diritti inviolabili della persona oggetto di tutela costituzionale (ad esempio, diritto di libertà). In particolare, la richiamata decisione testualmente afferma che “Palesemente non meritevoli dalla tutela risarcitoria, invocata a titolo di danno esistenziale, sono i pregiudizi consistenti in disagi, fastidi, disappunti, ansie ed in ogni altro tipo di insoddisfazione concernente gli aspetti più disparati della vita quotidiana che ciascuno conduce nel contesto sociale, ai quali ha prestato invece tutela la giustizia di prossimità. Non vale, per dirli risarcibili, invocare diritti del tutto immaginari, come il diritto alla qualità della vita, allo stato di benessere, alla serenità: in definitiva il diritto ad essere felici. Al di fuori dei casi determinati dalla legge ordinaria, solo la lesione di un diritto inviolabile della persona concretamente individuato è fonte di responsabilità risarcitoria non patrimoniale. ….E per eguale ragione non è stato ammesso a risarcimento il pregiudizio sofferto per la perdita di un animale (un cavallo da corsa) incidendo la lesione su un rapporto, tra l`uomo e l`animale, privo, nell`attuale assetto dell`ordinamento, di copertura costituzionale (sent. n. 14846/2007).” Quindi, secondo questa prima pronuncia, quando si accerta che il veterinario non ha svolto con diligenza prudenza e perizia la propria prestazione causando la morte del paziente, il professionista NON è chiamato a risarcire il danno da perdita dell’animale d’affezione (salvo –s’intende- il risarcimento di tutti i c.d. danni patrimoniali). Una seconda pronuncia (non però a sezioni unite, Cass. civ., sez. III 25-02-2009, n. 4493), invece, afferma che nel giudizio di equità reso dal giudice di pace (ovvero entro il limite di valore € 1.100,00), per i poteri che il legislatore ha concesso al giudice di pace in tale limitata ipotesi (si ribadisce, valore massimo di € 1.100,00) chiamato a giudicare secondo equità cd. formativa o sostitutiva della norma di diritto sostanziale, non opera la limitazione del risarcimento del danno non patrimoniale ai soli casi determinati dalla legge. In tal caso, il giudice di pace, nell`ambito del solo giudizio d`equità, può disporre il risarcimento del danno non patrimoniale anche fuori dei casi determinati dalla legge e di quelli attinenti alla lesione dei valori della persona umana costituzionalmente protetti (a condizione che il danneggiato abbia comunque provato il danno dallo stesso subito). In questa sede si tralasciano le molte ulteriori pronunce dei diversi giudici di merito, in quando le due richiamate decisione danno atto dei due aspetti che –ad avviso di chi scrive- si debbono tenere conto nell’ambito del dibattito da perdita dell’animale d’affezione. Il primo aspetto è ben evidenziato dalla decisione a Sezioni Unite: non ogni risvolto della vita quotidiana è meritevole di tutela. L’affermazione è assolutamente condivisibile, in quanto ammettere un’indiscriminata tutela per ogni e qualsivoglia “danno” (ad esempio: danno da perdita del tacco da scarpe il giorno delle nozze) significa minare le basi di una convivenza civile che necessita di regole il più possibile certe. Quindi, quando una legge prevede la risarcibilità, il danno sarà risarcibile (come per esempio in caso di violazione del trattamento dei dati personali, oppure risultano violati diritti costituzionalmente garantiti) in quanto quella collettività ne ha valutato positivamente il rilievo ed ha, plausibilmente, approntato un sistema per far fronte alle connesse vicende risarcitorie. Il secondo aspetto è sottolineato dalla pronuncia della Corte di Cassazione 4493/2009: il Giudice di pace –nell’esercizio della c.d. equità formativa o sostitutiva (valore massimo € 1.100,00)- può riconoscere il risarcimento del danno da perdita d’animale d’affezione. E’ quindi evidente che, ciò affermando, la Corte ha voluto dar conto del fatto che la perdita dell’animale (contenuta in quel valore e quando dimostrata, oltre che lamentata) è rilevante, ma stante il silenzio del legislatore sul punto, non è possibile dare un riconoscimento di più cospicuo impatto (anche economico), mancando un adeguato sistema di copertura dei costi. I sopra evidenziati aspetti dovranno –prima o poi- essere tenuti presenti anche (ci si augura in tempi brevi e dopo un dibattito con le diverse parti) dal legislatore. E’ comunque evidente che, qualora si voglia riconoscere una diffusa ed ampia risarcibilità del danno da perdita dell’animale, sarà necessario partire dalla semplice constatazione che riconoscere un diritto significa scegliere su chi far gravare i relativi costi. Trattandosi di situazioni così diffuse, è plausibile ritenere che sarà gioco forza necessario individuare una forma di collettivizzazione dei costi che tale risarcibilità implica. In particolare, per quanto riguarda la responsabilità del libero professionista, qualora si vogliano far ricadere tutti i costi di detta collettivizzazione solo sullo stesso, allora sarà necessario che i vet chiedano e ricevano compensi per le loro prestazioni in grado di coprire anche i costi di consistenti polizze assicurative in grado di far fronte ad ogni tipo di danno. Questa logica deduzione, all’evidenza, scontenta chi vorrebbe una sanità animale a costo zero, ma è necessitata dalla premessa. Si potrebbe ipotizzare un sistema a carico dei proprietari degli animali. All’evidenza, si tratterebbe di un sistema complesso che andrebbe ad incidere sulla possibilità di ciascuno a possedere un animale. Ed anche tale ipotesi non è di certo soddisfacente. Si potrebbe ipotizzare un sistema misto, o altro ancora. E’ certo che la questione del danno da perdita dell’animale d’affezione è decisamente aperta, ma –per giungere ad una soluzione concordata- è necessario che il dibattito in atto ampli i propri confini, andando a considerare anche le possibili formule di collettivizzazione in modo da”preparare il terreno” ad un auspicabile intervento del legislatore.

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