Su giornalettismo.com potete leggere un approfondimento di Stefania Carboni sulla reale situazione occupazionale e reddituale dei #laureati in veterinaria. Si parla di come l’#università orienta alla professione, dell’esorbitante produzione di #veterinari rispetto al resto d’Europa, dei costi per la collettività e le famiglie, dei rischi di una “poltiglia” di pubblico e privato che rischia di stravolgere il senso stesso di una prevenzione veterinaria.
In particolare riferisce dati oggettivi (non stime) dell’ENPAV, Ente di previdenza cui è obbligatoria per legge l’iscrizione da parte di tutti gli appartenenti all’Albo dei Veterinari, cioè gli iscritti all’Ordine. I dipendenti versano i loro contributi nelle rispettive casse previdenziali, per cui i dati ENPAV sono significativi per i liberi professionisti, cioè la stragrande maggioranza dei veterinari del nostro Paese.
Si accenna all’adeguamento ai minimi, quel meccanismo degli studi di settore che induce chi non è “congruo e coerente” a dichiarare più di quanto ha effettivamente incassato per scongiurare controlli ed onerosi ricorsi.
Analisi impietosa, che meriterebbe tutta l’attenzione di chi conosce il significato vero di ” #spending-review “
A tal proposito pubblichiamo il comunicato dell’On. Paolo Cova
On. Cova: “Lavoro: sbagliato orientare i giovani su veterinaria. Prima serve un rilancio della professione”
L’esubero di iscrizioni alle facoltà di Medicina veterinaria, le difficoltà conseguenti a trovare un impiego degnamente retribuito, gli errori dell’orientamento: Paolo Cova, parlamentare del Pd e veterinario di professione, componente della XIII Commissione Agricoltura della Camera, commenta i dati resi noti oggi dai mass media sull’accesso ai corsi a numero programmato, attraverso i test d’ingresso.
“Per quanto riguarda veterinaria, i numeri parlano chiaro: i professionisti sono già molti e, per converso, gli sbocchi professionali sono sempre più ridotti. Questo perché c’è stata una forte riduzione degli animali da reddito (in 10 anni circa il 25% in meno di bovini e suini) e la saturazione degli ambulatori dei piccoli animali – spiega Cova –. L’errore, però, è all’origine, ossia nella funzione che riveste l’orientamento che sbaglia a indirizzare su veterinaria. La presenza di 14 facoltà di Veterinaria in Italia, contro le 20 nel resto dell’Europa, invita a far lievitare le iscrizioni per non lasciare questi corsi senza studenti”.
La conseguenza? “Giovani laureati senza lavoro – fa sapere il parlamentare –. Invece, dare maggiore informazione sulla situazione reddituale dei veterinari potrebbe aiutare chi si iscrive. Sapere che il reddito dei neolaureati, tra i 25 e i 29 anni, è di 6.847 euro annuali è un dato che cerca di essere congruo con gli studi di settore, più che rappresentare un reddito reale”.
Ma per l’on. Cova il ‘mea culpa’ va recitato anche da parte della categoria: “Le problematiche che impediscono nuovi accessi sono strettamente legate alla necessità di un rilancio della professione veterinaria che si è fatto urgente e che passa attraverso il miglioramento della professionalità”.
La proposta di Cova coinvolge anche il livello politico-amministrativo: “In una stagione di spending review, diminuire drasticamente il numero delle facoltà di Veterinaria andrebbe incontro alle esigenze del mercato del lavoro e migliorerebbe anche gli investimenti sulla ricerca veterinaria”.
Roma, 3 settembre 2013
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