LAVORO. Importa di più il barattolo degli aghi usati o la decorosa retribuzione del lavoratore?
Con tutto il rispetto, Ministro Poletti, ci pare quasi che vi sia più attenzione delle autorità preposte per i barattoli degli aghi usati, che per un giusto compenso di chi lavora negli ambulatori.
L’enfasi, anche punitiva, per non dire persecutoria, che accompagna le norme sulla sicurezza sul lavoro (81/2008), sta facendo passare in secondo piano la dignità delle persone, il diritto ad un congruo compenso, le regole eque per un mercato del lavoro sostenibile. Non è possibile che lo Stato accetti -tacendo- che dei laureati prima paghino per essere accettati come tirocinanti, poi venga loro “concesso” di lavorare quasi gratis , ed infine -quando va bene- restino per decenni sottopagati a partita IVA e con nessuna tutela sociale.
Ovviamente, in una professione intellettuale, esistono dei “consulenti”, cioè dei professionisti che prestano la loro opera chiamati da Colleghi per prestazioni specialistiche. Vi è tuttavia una grande differenza tra chi è consulente per scelta, ed esercita la professione in piena legittimità e libertà, e chi è invece costretto ad “apparire” consulente, mentre a tutti gli effetti dovrebbe essere un dipendente, perché è tale il suo reale rapporto di lavoro. Situazioni simili, con Colleghi pagati anche 2,5€/ora per le guardie notturne, sono meglio definibili come “schiavismo”, piuttosto che come lavoro.
Paradossalmente tutta l’attenzione è spostata sul creare problemi ha chi intrattiene rapporti di lavoro con veri e propri consulenti, in nome della normativa sulla sicurezza del lavoro. E qui i limiti del buon senso sono spostati dall’ottusità burocratica in prossimità dell’estremo orizzonte. Con sanzioni che spesso, con la crisi, suonano come il colpo di grazia per l’attività di chi le subisce. Non è forse concorrenza sleale quella di chi sfrutta l’eccesso di disponibilità di laureati per non retribuirli? Il silenzio della categoria potrebbe persino celare sbadataggine: presi come siamo a tutelare presunti diritti degli animali, dimentichiamo quelli delle persone (Colleghi!), con buona pace degli evidenti dettami della Costituzione.
Lo sfruttamento non finisce qui: ci sono ONLUS di discutibile utilità sociale che non hanno alcuna attenzione “sociale” per i medici veterinari che vi operano. Non esistono tutele né per la maternità delle Colleghe, né per infortunio o malattia. E non cadiamo nell’errore di chiudere un occhio in nome del buonismo occupazionale. Chi occupa professionisti fuori da ogni regola danneggia sia Colleghi, con la distorsione del mercato, sia la collettività, con l’elusione dei contributi previdenziali e delle imposte.
L‘ Unione Europea aveva posto l’obiettivo di un 40% di laureati come media per il 2020, ma a chi giova la laurea, a queste condizioni?
Per questi motivi chiediamo meno burocrazia insulsa e più attenzione alle vere situazioni di abuso, anche per evitare che i nostri laureati debbano rifarsi un futuro in qualche altra parte del mondo.
Angelo Troi – SIVeLP
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