Il variegato modo dell’associazionismo è composto in buona parte da volontariato encomiabile. Lo vediamo continuamente, in tutti i campi in cui è possibile affiancare l’assistenza “ufficiale” o prestarne di nuova. Tuttavia non sempre è così. Da un lato la nona edizione semestrale dell’indagine “L’andamento delle raccolte fondi nel terzo settore: stime 2012 e proiezioni 2013” realizzata dall’Osservatorio di sostegno al non profit sociale dell’Istituto italiano della donazione (Iid) in collaborazione con l’Associazione italiana fundraiser (Assif) ha rilevato un calo consistente della raccolta fondi per il 34% del settore. Nel contempo a Piacenza una conferenza affronta il tema della maggiore attenzione del fisco al fenomeno, con l’avvocato esperto in associazionismo Guido Martinelli.
Esistono vere e proprie situazioni di evasione ed elusione fiscale. Il caso più eclatante per quel che riguarda la nostra professione è quello che cela dietro la sigla di onlus o associazione di volontariato una vera è propria attività professionale medico veterinaria, aperta al pubblico. Il meccanismo è semplice: basta spalancare le porte di strutture formalmente destinate all’assistenza gratuita di animali. In questo modo le prestazioni non sono assoggettate ad IVA, contributi previdenziali, ed altre tasse. Si parte dunque con un risparmio immediato del 23%, ma dal momento che la pressione fiscale sulle partite iva è stimata dal 44% al 55% e queste attività la eludono, il vantaggio è enorme. Sono anche documentati meccanismi più grossolani, come i finti “contributi volontari”, ovviamente esentasse, di chi si occupa di far sterilizzare o curare animali di proprietà presso le strutture veterinarie pubbliche, spacciandoli per randagi. In questo caso il danno ricade sulla sanità, cui il veterinario costa circa 70€/ora, mentre l’intermediazione viene remunerata “in nero”. Altro aspetto interessante del pseudo-gratuito riguarda i veterinari che vi lavorano pagati pochi euro all’ora, a partita iva; forma di gestione dei dipendenti assai più snella di una regolare assunzione.
Non tutto il no-profit è volontariato come illustra Marco Crescenzi su ilfattoquotidiano.it, ma i cittadini avrebbero il diritto di sapere in modo chiaro e trasparente se stanno devolvendo le loro donazioni -spesso i loro risparmi- ad associazioni di volontariato, ad un legale no-profit del terzo settore o a qualche furbacchione che ha trovato il modo di campare a loro spese.
In certi casi vale addirittura il meccanismo opposto: servizi erogati senza alcun compenso apparente da associazioni di tutela, di categoria o di consumatori sui generis, che apparentemente non chiedono nulla in cambio, nessuna iscrizione o quota associativa, salvo scoprire poi che rappresentano ben diversi interessi, creano necessità da soddisfare o fanno ricadere tutti i costi sui malcapitati che arrivano loro a tiro.
Nella crisi generale, sono comportamenti particolarmente odiosi ed i controlli sono quanto mai opportuni.
Dr. Angelo Troi – SIVELP
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