Qualche anno fa, l’Espresso pubblicò un articolo dal titolo ONLUS CHE TRUFFA.
Una piccola finestra su alcune delle decine di migliaia di ONLUS che abbiamo in Italia. Da quasi dieci anni si lamentano scandali nel settore e con ammirevole continuità la stampa se ne è occupata (da Famiglia Cristiana, a siti web di informazione, alle cronache più recenti), ma i risultati sono pochi. Alcuni denunciano onlus irregolari e non censite, altri richieste di soldi per attività fasulle, altri ancora regolarissime organizzazione che di benefico hanno solo il nome o che prendono i finanziamenti pubblici per un progetto di aiuto e lo trasformano in attività commerciali (costruite a spese del sociale). Certo se il Censimento Ufficiale del volontariato 2014 enumera 40.460 associazioni (Fonte: Agenzia delle Entrate AC – DZ), in mezzo c’è spazio per molto. Prima di tutto -speriamo- per il vero e meritorio volontariato.
Tuttavia tutti sappiamo che per molti è un mestiere: possiamo allora continuare a chiamarlo volontariato? Per altri -anche se formalmente non appaiono retribuzioni esplicite-, potrebbero esserci società di gestione, marketing, immagine, servizi ecc. che fanno capo a chi dirige; di fatto possono incassare anche molto di più di un semplice stipendio.
Nello specifico della veterinaria, la più banale forma di “mercato distorto” è quella di chi eroga prestazioni a privati (e quindi dietro compenso), spacciandosi per organizzazione non lucrativa. Sono strutture/soggetti che fanno capo ad associazioni estranee alla veterinaria che aprono ambulatori e cliniche con il paravento della tutela degli animali, ma in effetti curano animali a pagamento e si rivolgono a clienti tutt’altro che indigenti.
Ci sono poi strutture veterinarie vere e proprie che si presentano come associazioni benefiche, ma i loro incassi sono assolutamente commerciali. Tutti questi casi rappresentano un danno per lo Stato perché possono spostare numeri significativi di clientela attraverso pubblicità non regolamentata e/o truffaldina, godono del favore “fiscale” riservato al No-Profit, inquadrano dipendenti e collaboratori senza garantire loro alcuna forma di tutela, percepiscono frequentemente fondi pubblici, contributi o sponsorizzazioni e non versando le imposte e la previdenza come chi è in regola; da una parte evadono e dall’altra limitano o espellono dal mondo del lavoro le attività regolari. La disparità di trattamento fiscale grava in modo significativo sulle attività, per cui è evidente che la concorrenza è impossibile tra tanta disparità e non mancano esempi di vero e proprio uso della professione veterinaria per pubblicità o propaganda politica, complice il basso costo del libero professionista e la forte valenza mediatica del settore.
La sottrazione di introiti per la collettività deriva anche da un numero impressionante di “contributi volontari” versati in nero in occasione di adozioni, consigli, consulenze, ricongiungimenti, raccolta di animali, staffette, pratiche burocratiche e vere e proprie truffe alla sanità come le sterilizzazioni di animali di proprietà spacciati per randagi. Tutte attività che dovrebbero rientrare nel normale alveo della tassazione. Sappiamo e denunciamo che molti professionisti che versano in grave situazione di necessità e precarietà lavorativa, continueranno ad accettare condizione di lavoro svantaggiose, sottoposti al ricatto dell’impossibilità di reperire alternative ed essere scaricati non appena diverranno poco convenienti o consapevoli dello sfruttamento.
La veterinaria è toccata direttamente anche da associazioni con lo scopo dichiarato di “piantare cause” per malasanità. In questo caso il cittadino percepisce una forma di tutela dei propri interessi che a ben vedere non esiste: infatti chi aderisce non ha nessuna garanzia particolare, nessuna agevolazione quantificata. In pratica versa una quota per vedersi indirizzare ad avvocati dell’associazione, con la promessa di un trattamento di favore su parcelle mai rese note, trasparenti o valutabili in partenza. Dunque paga un iscrizione, di cui l’onlus beneficia come utilità sociale, per avere il medesimo trattamento di qualunque cittadino, spesso lasciando intendere luccicanti possibilità di compenso che si rivelano certe solo nelle parcelle che andrà a versare. Inoltre i proprietari di animali sono artatamente convinti ed indotti a percorsi giudiziari che si trascineranno per anni attraverso meccanismi persuasivi poco trasparenti, basati su sedicenti valori etici o morali che poco riscontro trovano nell’interesse dei malcapitati che si fanno convincere. Di concreto ci sono le spese che spettano loro, l’intasamento delle sedi giudiziarie ed il costo di pratiche che durano anni a carico di tutti i contribuenti. Occasionalmente sono state utilizzate campagne mediatiche costruite su misura e di grande appeal di cui i destinatari non riconoscono i reali contorni. I contenuti sono spesso tali da creare bisogni che si rivelano soddisfatti dall’attività delle stesse ONLUS, ma sempre a spese dei proprietari e con creazione di procedure, pratiche o adempimenti i cui costi ricadranno comunque sui proprietari: una specie di tassa occulta sull’animale a beneficio delle associazioni e dei loro affari.
La norma che regola le Organizzazioni non lucrative di utilità sociale (D.Lgs. 460/1997), ha fatto rientrare tra i requisiti per qualificarsi come ONLUS anche la tutela di interessi diffusi in materia ambientale. Da questo è scaturita una proliferazione di soggetti che dicono di tutelare l’ambiente, ma in realtà non solo non lo tutelano, ma spesso promuovono azioni del tutto prive di fondamenti scientifici che sottraggono la gestione ambientale a chi ne possiede le competenze. Gli interessi, la destinazione dei fondi, le entrate non tracciate, i bilanci poco trasparenti, la percentuale destinata veramente agli scopi dichiarati (piuttosto che all’auto-sostentamento delle stesse associazioni e dei problemi che le giustificano), sono materie degne di controlli e revisione. La raccolta di fondi dovrebbe portare all’utilizzo degli stessi nelle regole del mercato che valgono per tutti, e non ad una creazione di filiere tax-free. Vale a dire, a titolo di esempio, che se si devono edificare strutture di interesse sociale non è immaginabile creare progettisti, muratori, elettricisti, idraulici ecc. tutti ONLUS e tutti esentati dalla tassazione, ma i fondi raccolti andranno usati per ditte regolari che versano le imposte, assumono dipendenti in regola e versano il dovuto allo Stato e, sopratutto, non si mettono ad erogare prestazioni a normali committenti, mettendo fuori mercato chi soggiace alle imposizioni normative generali e paga le tasse.
Solo così lo Stato avrà a disposizione nuove entrate da destinare, in maniera ciclica, alle situazioni di vero bisogno. Meno privilegi e spesa più controllata per tutti.
Angelo Troi- SIVeLP