Perché lo Stato investe circa 300.000€, per ciascuno degli oltre 1.200 veterinari che si laurea ogni anno? La programmazione avviene in base ad un fabbisogno di queste figure che ogni anno viene chiesto dal dicastero del Ministro Gelmini, alle Regioni. Le Regioni rispondono con dei numeri, che dovrebbero certificare il rispettivo fabbisogno …
Perché lo Stato investe circa 300.000€, per ciascuno degli oltre 1.200 veterinari che si laurea ogni anno? La programmazione avviene in base ad un fabbisogno di queste figure che ogni anno viene chiesto dal dicastero del Ministro Gelmini, alle Regioni. Le Regioni rispondono con dei numeri, che dovrebbero certificare il rispettivo fabbisogno annuale. In realtà emettono cifre in libertà (non tutte per la verità, alcune si comportano seriamente, ma a nessuno viene attribuita specifica responsabilità sulle future assunzioni dei programmati neo-dottori. Succede così che al convegno del sindacato di medicina veterinaria pubblica (Sivemp) di Cosenza lo scorso settembre, cui era presente la vice-presidente del Sivelp dottoressa Rosalba Traversa in rappresentanza dei liberi professionisti, siano rese pubbliche le previsioni “di uscita” dal Sistema Sanitario Nazionale dei medici veterinari dipendenti: 1.222 in dieci anni. Questo significa che lo Stato Italiano, cioè i contribuenti, finanziano un sistema universitario che sforna ogni anno il fabbisogno di veterinari di un intero decennio. Ma abbiamo bisogno di veterinari privati, verrebbe da obiettare; peccato che il sovraffollamento nella libera professione abbia ormai determinato la saturazione del mercato del lavoro da almeno un decennio, esponendo i neo laureati ad un estenuante ed improduttivo calvario per un reddito da fame. Anche qui le cifre: il reddito medio dei medici veterinari che hanno un reddito (escludendo così una consistente percentuale di laureati che sono a reddito zero o negativo), non raggiunge i quindicimila euro anno, tra i più bassi dei laureati. A fronte di studi impegnativi, di un corso di laurea quinquennale e di consistenti investimenti per un’attrezzatura che li mantenga sul mercato. Ma non basta. La recente trovata di far entrare nel SSN i veterinari stabilizzati con il contratto dei medici ambulatoriali – veterinari pubblici “a ore”- impone a coloro che lavorano nel pubblico solo alcune ore alla settimana, di fare anche la libera professione, entrando in palese conflitto, checché se ne dica, con i liberi professionisti che i pubblici devono istituzionalmente controllare, e aprendo pericolose porte a situazioni grigie tra attività pubblica e libero professionale, con gravissime ripercussioni sulla tanto decantata sicurezza alimentare e sui controlli di filiera. Questo ridurrà ulteriormente lo spazio lavorativo dei circa 10.800 medici veterinari che daranno la tesi nei prossimi dieci anni, senza alcuna speranza di sostituire i 1.222 pensionamenti. A questo si aggiunge il genio italico nel trovare nuovi, quanto inutili, corsi di laurea in materie vicine alle competenze della medicina veterinaria, infermieri veterinari, esperti in addestramento, esperti in pet-therapy, tecnici alimentari,dell’igiene degli allevamenti e via così, in un crescendo di figure che finiscono per fare in parte gli stessi esami del medico veterinario in attesa di trovare un varco adatto ad eludere il numero chiuso. Tutto questo descrivendo ogni anno agli aspiranti dottori degli animali magnifiche sorti e progressive, puntualmente deluse dall’impatto con il mondo del lavoro. Forse nella programmazione economica del Ministro Giulio Tremonti non esiste solamente l’alternativa tra alzare le tasse o diminuire i servizi: si potrebbe, per dirla in parole semplici, “far bene le cose”.
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