Ricusabile il giudice che abbia offerto valutazioni sullo stesso fatto.
Gli ordini professionali amministrano giustizia disciplinare/deontologica. Il veterinario è tutelato?
Siamo ormai abituati ad una giustizia ordinistica che si muove con una certa difficoltà, vuoi per la difficoltà nel dirimere contestazioni interne alla Categoria che coinvolgono colleghi conosciuti e contigui, anche professionalmente, ai giudicanti, vuoi per la sostanziale assenza di basi teoriche che caratterizza i nostri cicli di studi. Nessuno infatti frequenta un percorso in medicina veterinaria prefiggendosi lo scopo di diventare un buon giudice dei propri colleghi e la materia si è fortemente complicata con il passare degli anni. Checché se ne dica, non è facile prendere (o non prendere) decisioni importanti che possono determinare ricadute pesanti sull’attività lavorativa di una persona, specie se si tratta di un professionista autonomo, che non gode di alcuna tutela nel momento in cui non potesse esercitare. Difficile anche andare contro sistemi sempre più organizzati: sono pochi, a nostra conoscenza, gli interventi nei confronti di dipendenti; forse non tanto per una sostanziale immunità dalle condotte deontologicamente perseguibili, quanto per l’impermeabilità iniziale di tutti i sistemi organizzati e strutturati. Dei giudici “temporanei”, come sono o dovrebbero essere gli eletti negli ordini professionali, possono anche trovarsi in imbarazzo per le pressioni esterne (mediatiche, ideologiche, anti-scientifiche, commerciali…); difficoltà tanto maggiori quanto più le pressioni scaturiscono da lobby potenti e gli ordini sono piccoli, quindi con budget limitati e non facile accesso a tutele legali proporzionate.
Il pregiudizio di imparzialità.
Una sentenza molto importante, emessa nel 2000 dalla Cassazione (14.10.2000 n° 283), tutela il giudicato da eventuali tesi preconcette. Certo, essendo la condizione di giudice deontologico, quasi per definizione “temporanea”, ciascun professionista si adatterà al nuovo ruolo con un bagaglio di proprie legittime convinzioni ed esternazioni precedenti, differentemente dai magistrati che lo fanno di mestiere.
Tuttavia sarebbe auspicabile che anche il veterinario, nel momento in cui è eletto nell’ordine evitasse di esprimersi a briglia sciolta in temi così delicati per ogni collega in modo che il giudizio deontologico possa garantire l’imparzialità “in qualunque fase, stato e grado del processo, anche prima del dibattimento”.
Per citare la nota di Alberto Zaina pubblicata su Altalex (link): “Il principio sancito dalla Corte è inequivoco: viene riconosciuta come contraria all’art. 3 Costituzione, “l’ingiustificata e irragionevole disparità del trattamento riservato all’imputato nel caso in cui il giudice abbia legittimamente espresso il suo convincimento in un diverso procedimento – situazione in cui il diritto dell’imputato ad un giudice terzo e imparziale riceve tutela solo in quanto il giudice ritenga di astenersi – rispetto alle identiche situazioni di pregiudizio per il principio di imparzialità, previste dalla legge come casi di ricusazione, nelle ipotesi in cui il giudice abbia manifestato il suo parere sull’oggetto del procedimento fuori dell’esercizio delle funzioni giudiziarie ovvero abbia indebitamente manifestato il proprio convincimento sui fatti oggetto dell’imputazione nell’esercizio delle funzioni”. E che “Si deve, infatti, ribadire, immediatamente, come la necessità di una imparzialità non solo formale, ma concreta e tangibile, sia divenuta, ormai, non solo richiesta della parte privata (indagato, difensore o persona offesa), ma proprio elemento catalizzante l’essenza del processo” .
Vi è dunque “la necessità che l’inquisito non venga sottoposto ad un giudizio che possa venir celebrato da un giudice, che già in passato abbia potuto esprimersi, non tanto o non solo in relazione alla colpevolezza od innocenza dell’interessato, quanto piuttosto abbia già manifestato valutazioni che possano risultare, comunque, condizionanti in successivi giudizi”.
Ovviamente tutti noi abbiamo dei convincimenti e della posizioni -molto spesso fanno meno danni gli interessi trasparenti di quelli sottaciuti-, tuttavia almeno riguardo a materie oggetto della discrezionalità di giudizio (anche potenziale) se espresse pubblicamente , o peggio pubblicizzate, da parti di colleghi che rivestono cariche istituzionali, non possono essere considerate accettabili posizioni che violano o inducono a violare apertamente la prospettiva di decisioni imparziali, offrirebbero fondati motivi per una “ricusazione”.
Angelo Troi – SIVELP
Nessun tag disponibile per questo articolo.