Dalla pagina web Sardegna oggi il logico risultato di una politica scriteriata dell`Università italiana. Ecco l`articolo integrale: ********* Rischiano di non essere riconosciute a livello europeo le lauree conseguite a Veterinaria nell’ateneo di Sassari; una lunga serie di omissioni e di mancati investimenti ha ridotto la qualità della ricerca e dell’insegnamento al …
Dalla pagina web Sardegna oggi il logico risultato di una politica scriteriata dell`Università italiana. Ecco l`articolo integrale: ********* Rischiano di non essere riconosciute a livello europeo le lauree conseguite a Veterinaria nell’ateneo di Sassari; una lunga serie di omissioni e di mancati investimenti ha ridotto la qualità della ricerca e dell’insegnamento al di sotto degli standard necessari per l’accreditamento. Il preside e il vicepreside della Facoltà sentiti in audizione dalla Commissione Sanità. CAGLIARI – Fra cinque anni, se non saranno adeguate le strutture didattiche, le lauree della facoltà di medicina veterinaria potrebbero non essere riconosciute a livello europeo. Troppe le carenze, in un declino che, a partire dagli anni `80, è stato progressivo. Quella che era un fiore all’occhiello dell’ateneo sassarese si è appassita, strada facendo. Non si è adeguata, la facoltà di piazza Conte di Moriana, al passo dei tempi. Non ha saputo (o potuto) cogliere i mutamenti del mercato, didattica e ricerca sono rimaste indietro. Oggi esiste un sistema di accreditamento concepito su criteri di severità, a dimostrazione di una “concorrenza spietata”. La facoltà è rimasta fuori. Lo ha riferito, in audizione, alla Settima commissione, il preside, Sergio Coda, che ha illustrato le molte carenze, a cominciare dal corpo docente (46 su un organico ottimale di 80) e del personale tecnico (25 su un organico di oltre 100). Le strutture sono quelle di 30 anni fa, lontane dagli standard che didattica e ricerca pretendono. Ciò non ostante, Veterinaria gode ancora di “enorme considerazione, anche a livello internazionale”; ma è una considerazione che nasce dal sacrificio e che quasi mai viene ripagata. Basti pensare alle strutture: non c’è un ospedale universitario essenziale per l’attività pratica degli allievi (un progetto vecchio di 10 anni non è stato agevolato dalla burocrazia. C’è un finanziamento dello Stato per 2,25 milioni di euro, del tutto insufficienti. Un progetto, recentemente approvato dalla commissione edilizia del Comune di Sassari fa muovere le cose, dopo una lunga inerzia). Non c’è neppure l’azienda zootecnica veterinaria (l’anno scorso, grazie a un Pia del Comune di Ozieri la facoltà ha acquisito lo “spazio”, 50 ettari; ma ora bisogna riempire quello spazio con l’acquisto di animali e attrezzature) e non c’è neppure il mattatoio “sperimentale” interno, fondamentale per la didattica (si va avanti con la convenzione col frigomacello di Chilivani, soluzione raffazzonata sul piano dell’insegnamento). Il superamento di altre carenze (come il mangimificio interno) non sono ritenute “vitali”, ma certo non favoriscono l’attività di insegnamento. “Per tutti questi motivi – ha detto il preside Coda ai commissari – la facoltà ha fatto una scelta drastica “e dolorosa”: ridurre gli accessi in facoltà (la più costosa: 80 mila euro a studenti per il corso di studi), da 80 a 50 (la media delle domande annualmente presentate è di 300). Vero è che non si tratta solo di un problema didattico, ma dall’incertezza della politica del settore. Circa il 25% dei laureati è attualmente senza lavoro e ciò può apparire strano per una regione che punta sull’economia zootecnica e agropastorale”. Tuttavia il problema maggiore da risolvere con rapidità è quello dell’accreditamento, senza il quale si rischia davvero di dover chiudere o limitarsi a lauree di serie B, non riconosciute. Sarebbe un pesante insuccesso, anche per il “peso” che storicamente la facoltà ha avuto nella cultura sarda. Nel secondo dopoguerra era un riferimento eccellente per l’Europa (negli anni 60 era diventata la facoltà degli studenti Greci e numerosi erano i giovani americani che sceglievano Sassari nel loro percorso formativo). Ora quell’Europa, che ieri guardava l’università di Sassari con grande interesse, ha posto i paletti della qualità, al di fuori dei quali non è più possibile alcun discorso. Nel frattempo l’offerta formativa è stata allargata e si è cercato di dare risposte coerenti con il territorio: si sono attivati corsi di protezione e gestione della fauna selvatica, di allevamento biologico ed ora di allevamento degli equini (in collaborazione con l’istituto di incremento ippico di Ozieri). Sono attive anche le scuole di specializzazione e i dottorati di ricerca ma le carenze didattiche e strutturali non consentono risultati apprezzabili, ad esempio, nella durata del corso dei studi, che se non registra defezioni ed abbandoni (percentuale minima) si allunga oltre gli otto anni (8,1 la media) proprio a causa della mancanza di strumenti pratici (la teoria deve avere, soprattutto in questo campo, stretta attinenza con la pratica). Tutto questo è avvenuto soltanto oggi. Forse è tardi rispetto ai tempi della finanziaria regionale, al cui interno è possibile trovare spazio. Ma il preside ha replicato al velato rimprovero di mancata tempestività: da oltre tre mesi, ha detto, attende di essere ricevuto dal presidente della Regione. Inutilmente. Dalla pagina web Sardegna o”>www.sardegnaoggi.it/notizie.php?notizia=5184″>Sardegna oggi il logico risultato di una politica scriteriata dell`Università italiana. Ecco l`articolo integrale: ********* Rischiano di non essere riconosciute a livello europeo le lauree conseguite a Veterinaria nell’ateneo di Sassari; una lunga serie di omissioni e di mancati investimenti ha ridotto la qualità della ricerca e dell’insegnamento al di sotto degli standard necessari per l’accreditamento. Il preside e il vicepreside della Facoltà sentiti in audizione dalla Commissione Sanità. CAGLIARI – Fra cinque anni, se non saranno adeguate le strutture didattiche, le lauree della facoltà di medicina veterinaria potrebbero non essere riconosciute a livello europeo. Troppe le carenze, in un declino che, a partire dagli anni `80, è stato progressivo. Quella che era un fiore all’occhiello dell’ateneo sassarese si è appassita, strada facendo. Non si è adeguata, la facoltà di piazza Conte di Moriana, al passo dei tempi. Non ha saputo (o potuto) cogliere i mutamenti del mercato, didattica e ricerca sono rimaste indietro. Oggi esiste un sistema di accreditamento concepito su criteri di severità, a dimostrazione di una “concorrenza spietata”. La facoltà è rimasta fuori. Lo ha riferito, in audizione, alla Settima commissione, il preside, Sergio Coda, che ha illustrato le molte carenze, a cominciare dal corpo docente (46 su un organico ottimale di 80) e del personale tecnico (25 su un organico di oltre 100). Le strutture sono quelle di 30 anni fa, lontane dagli standard che didattica e ricerca pretendono. Ciò non ostante, Veterinaria gode ancora di “enorme considerazione, anche a livello internazionale”; ma è una considerazione che nasce dal sacrificio e che quasi mai viene ripagata. Basti pensare alle strutture: non c’è un ospedale universitario essenziale per l’attività pratica degli allievi (un progetto vecchio di 10 anni non è stato agevolato dalla burocrazia. C’è un finanziamento dello Stato per 2,25 milioni di euro, del tutto insufficienti. Un progetto, recentemente approvato dalla commissione edilizia del Comune di Sassari fa muovere le cose, dopo una lunga inerzia). Non c’è neppure l’azienda zootecnica veterinaria (l’anno scorso, grazie a un Pia del Comune di Ozieri la facoltà ha acquisito lo “spazio”, 50 ettari; ma ora bisogna riempire quello spazio con l’acquisto di animali e attrezzature) e non c’è neppure il mattatoio “sperimentale” interno, fondamentale per la didattica (si va avanti con la convenzione col frigomacello di Chilivani, soluzione raffazzonata sul piano dell’insegnamento). Il superamento di altre carenze (come il mangimificio interno) non sono ritenute “vitali”, ma certo non favoriscono l’attività di insegnamento. “Per tutti questi motivi – ha detto il preside Coda ai commissari – la facoltà ha fatto una scelta drastica “e dolorosa”: ridurre gli accessi in facoltà (la più costosa: 80 mila euro a studenti per il corso di studi), da 80 a 50 (la media delle domande annualmente presentate è di 300). Vero è che non si tratta solo di un problema didattico, ma dall’incertezza della politica del settore. Circa il 25% dei laureati è attualmente senza lavoro e ciò può apparire strano per una regione che punta sull’economia zootecnica e agropastorale”. Tuttavia il problema maggiore da risolvere con rapidità è quello dell’accreditamento, senza il quale si rischia davvero di dover chiudere o limitarsi a lauree di serie B, non riconosciute. Sarebbe un pesante insuccesso, anche per il “peso” che storicamente la facoltà ha avuto nella cultura sarda. Nel secondo dopoguerra era un riferimento eccellente per l’Europa (negli anni 60 era diventata la facoltà degli studenti Greci e numerosi erano i giovani americani che sceglievano Sassari nel loro percorso formativo). Ora quell’Europa, che ieri guardava l’università di Sassari con grande interesse, ha posto i paletti della qualità, al di fuori dei quali non è più possibile alcun discorso. Nel frattempo l’offerta formativa è stata allargata e si è cercato di dare risposte coerenti con il territorio: si sono attivati corsi di protezione e gestione della fauna selvatica, di allevamento biologico ed ora di allevamento degli equini (in collaborazione con l’istituto di incremento ippico di Ozieri). Sono attive anche le scuole di specializzazione e i dottorati di ricerca ma le carenze didattiche e strutturali non consentono risultati apprezzabili, ad esempio, nella durata del corso dei studi, che se non registra defezioni ed abbandoni (percentuale minima) si allunga oltre gli otto anni (8,1 la media) proprio a causa della mancanza di strumenti pratici (la teoria deve avere, soprattutto in questo campo, stretta attinenza con la pratica). Tutto questo è avvenuto soltanto oggi. Forse è tardi rispetto ai tempi della finanziaria regionale, al cui interno è possibile trovare spazio. Ma il preside ha replicato al velato rimprovero di mancata tempestività: da oltre tre mesi, ha detto, attende di essere ricevuto dal presidente della Regione. Inutilmente.
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