16/06/2013 Editoriali4 Minuti

Torna il Cimurro (con le storie all’italiana).

Sivelp

  Il virus ricompare nei primi mesi del 2013, da Nord a Sud del Paese. SIVeLP denunciò i rischi, ma nel frattempo la patologia ha fatto la sua comparsa in numerose Regioni.

La cronaca riferisce di numerosi casi in Abruzzo con tanto di pronto intervento regionale: 7000 dosi di vaccino destinate alle aziende sanitarie per vaccinare i cani degli allevatori di bestiame. Scopo, e origine del finanziamento, proteggere l’orso; sono fondi del progetto Life Arctos.

Perdonatemi, mi “scappa” un confronto con la recente epidemia di rabbia che ha colpito il nord-est.

Lì si tutelavano in primo luogo le persone, dopo i numerosi contagi registrati, fortunatamente seguiti da intervento sanitario prima che la patologia assumesse le connotazioni di mortale irreversibilità che la caratterizzano: nessun vaccino gratis. I possessori di animali di proprietà, essenzialmente cani e gatti, sono intervenuti di tasca propria, pur con diversi gradi di “sconto”. La profilassi è obbligatoria, l’animale è di proprietà ed il proprietario lo vaccina, come succede per tutti gli altri obblighi imposti dalla legge. Ci sono veterinari liberi professionisti anche in Abruzzo, senza bisogno di ricorrere a profilassi gratis e veterinari pubblici a carico della collettività, che operano con regimi fiscali del tutto diversi da quelli del mercato. Tanto più che il cimurro non è trasmissibile all’uomo.

Non sono mancate le accuse ai cani dei cacciatori, additati come anello di congiunzione della patologia tra domestico e selvatico. Tuttavia non sono stati vaccinati i loro cani, chissà per quale ragione.

Nessuno ha pensato alla consistente popolazione di randagi, che ben più dei cani dei cacciatori possono essere in contatto con la fauna selvatica, se non altro perché vivono al margine delle due situazioni.

 Veramente il problema dei randagi è rimbalzato agli onori delle cronache per la richiesta di vaccini fatta dai canili.

Ebbene, sostengo da tempo che la protratta permanenza in canile è una forma di maltrattamento, confortato dalle posizioni di importanti associazioni animaliste internazionali, come PETA. E anche da qualche componente della veterinaria, che in un primo tempo prendeva le distanze -forse confidando su chissà quali appoggi politici o mediatici- salvo poi fare pubblica e disordinata retromarcia non appena sono stati fatti bersaglio dei loro strali.

La richiesta dei vaccini mi ha lasciato perplesso: non si vaccina nei canili? Con tutte le denunce rivolte contro chiunque sia sospettato di non curare il benessere degli animali, con tutte le cause impiantate nei tribunali (e le lucrose costituzioni di parte civile), si accetta pacificamente che gli animali dei rifugi siano lasciati regolarmente, parrebbe, senza profilassi. Notare bene che il cimurro è una componente contenuta praticamente in tutte le polivalenti, a partire dalle più banali ed economiche. Di conseguenza quei cani saranno evidentemente anche privi di protezione contro i parassiti -con relative patologie- e leptospirosi, preoccupante zoonosi, associata nei medesimi vaccini e potenzialmente assai diffusa dove vi sono concentrazioni di animali. Se vi fosse conferma, rappresenterebbero vere e proprie bombe zoonosiche, le cui ricadute sull’ambiente e sulla salute umana meriterebbero una seria analisi del rischio, da approfondire con l’incrocio di informazioni tra banche dati veterinarie e di medicina umana.

Ancora una volta emerge il sostanziale fallimento della legge 281 sul randagismo, che è in vigore da quasi 25 anni e si è dimostrata un formidabile moltiplicatore di spesa pubblica a tutti i livelli, senza aver risolto nulla.

Dr. Angelo Troi – Segretario Nazionale

 

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