03/11/2014 Editoriali8 Minuti

UE. Il Veterinario non servirà più per le ricette, ma salveremo la “cascata”.

Sivelp

Se valutiamo con attenzione la Bozza di Regolamento UE sul farmaco , il veterinario non avrà più la prerogativa di gestire e prescrivere il farmaco veterinario.

Per prima cosa spieghiamo che un regolamento europeo è un atto legislativo dell’Unione che diventa immediatamente esecutivo in tutti i Paesi aderenti, a differenza delle Direttive, riprese (e modificabili) nella normativa nazionale, per raggiungere obiettivi.

Poi osserviamo che le premesse, a ben vedere, sono state poste da tempo in quelle regole “pediatriche” di uso del farmaco che costituiscono il sistema della “cascata”. Regole che rimandano sostanzialmente alla lettura e applicazione del foglietto illustrativo ed appartengono ad un contesto dove farmacologia, clinica e terapia, lasciano il posto alla pratica “manualistica”.

Ciò non vuole e non deve essere visto come un giudizio di merito, ma una semplice constatazione di realtà applicative completamente diverse. In Inghilterra, Paese borderline nei confronti di quasi tutti gli standard UE (a cominciare dalla non-adozione dell’Euro), ci si premura di spiegare (pg.11/33) che la permetrina è tossica nel gatto, per giustificare la cascata.

Come dire ad un elettricista che può prendere una scossa toccando i fili elettrici!

Eppure proprio in quei contesti, la ridotta precauzione della produzione dei mangimi (in particolare la concessione di temperature di trattamento termico inferiori) sembrerebbe essere stata un potenziale responsabile delle encefaliti spongiformi (BSE).

Leggiamo testualmente Una prescrizione veterinaria può essere emessa solo da una persona abilitata a tal fine secondo la legislazione nazionale applicabile” (Art. 110 Prescrizione veterinaria punto 2 pg. 77). In più punti si parla di persona abilitata, omettendo “veterinario”. Questo spiega in parte l’attenzione quasi maniacale al controllo, premessa indispensabile anche in Paesi normalmente restii a procedure inquisitorie, volto a garantire la sicurezza dell’utilizzo da parte di persone abilitate non in grado di assumersi la responsabilità totale ed assoluta di quanto stanno facendo.

Una chiave di lettura potrebbe essere questa. Le normative europee sono concepite su logiche di lobby (portatori di legittimi interessi) e certamente, come più volte detto apertamente, alcune lobby ritengono che per ampliare il business del farmaco veterinario, sia necessario “obbligare” ad usarlo evitando soluzioni diverse, comprese quelle più economiche. Quindi la UE asseconda la tesi, ma cerca di imporre misure di controllo, che potrebbero essere meno strette (e dispendiose per il sistema sanitario pubblico), se la responsabilità rimanesse in capo ad un professionista specificamente preparato, quale il medico veterinario. Una prospettiva che vede sempre meno utile/necessario il veterinario, come SIVeLP denuncia da tempo.

Le giustificazioni sono sempre le stesse. Maggior mercato equivarrebbe a minori costi (smentito dal dato oggettivo che nei settori dove il farmaco veterinario ha maggior monopolio, i costi al consumatore aumentano, anziché diminuire). Si agita lo spauracchio dell’antibiotico resistenza, omettendo di informare che il mercato del farmaco veterinario ha percentuali ridicole rispetto a quello umano; che il fenomeno allarmante riguarda essenzialmente le strutture ospedaliere; che le caratteristiche genetiche dei batteri resistenti in umana si sono dimostrate distantissime da quelle dei batteri reperiti in veterinaria… (una soluzione semplice è il divieto di impiego di nuovi antibiotici in veterinaria per un numero congruo di anni).

D’altro canto quasi tutti gli altri paesi non hanno uno Stato che mantiene e cura centinaia di migliaia di randagi, quindi questo aspetto non ha alcuna rilevanza per i costi della Sanità. Inoltre i controllori pubblici sono in numero nettamente inferiore ed inquadrati spesso sotto forme contrattuali diverse dalle nostre (dipendono dall’agricoltura o da organi di polizia), quindi le complicazioni burocratiche dei controlli incidono meno.

La garanzia della normativa nazionale diversa è -a nostro avviso- assai effimera, perché una volta aperta la porta a soluzioni alternative, la politica potrebbe seguirle anche domani. I vantaggi prevalenti non sono certo quelli dei veterinari. Non vi sarà sfuggito il silenzio sulla nostra campagna per il farmaco più accessibile (ed in definitiva meno costoso) di tantissime associazioni che dicono di difendere animali, consumatori, stato sociale, ecc.

Il farmaco on-line e l’acquisto all’estero sono realtà che emergono solo come punta di iceberg di un sistema consolidato e diffuso -forse più di quanto non si creda e di quanto le inchieste non rivelino-, purtroppo con preoccupante frequenza.

Déjà-vu del controllo sugli scontrini da pochi euro, mentre sfuggono i milioni di sommerso, elusione, mazzette.

Il Sindacato propone un cambiamento radicale. Non vogliamo stare a commentare cavilli ma proporre inversione di tendenza tanto in patria quanto nella UE, perché più si complicano le regole meno si riesce a controllare e si finisce per punire chi cerca di seguirle, anziché chi le elude completamente. Si pone chi è onesto tra l’alternativa di cessare completamente l’attività e passare alla clandestinità, perdendo i controlli fondamentali, quali la stessa presenza di animali in caso di malattie infettive rischiose per la sicurezza dei cittadini.

In Italia, negli ultimi decenni le scelte gestionali sul farmaco hanno finito per trasformare uno strumento di lavoro in un incubo, diminuendo la competitività del Paese, favorendo il trasferimento all’estero di chi accetta le sfide del mercato globale, complicando inutilmente l’esistenza ai semplici cittadini, danneggiando il Made-in-Italy alimentare. Perdiamo un possibile margine onesto sulla gestione di un presidio fondamentale per il nostro lavoro, per disperderlo in complicazioni improduttive o -peggio- nel sommerso. Tutti noi abbiamo percezione di una ridotta distribuzione dei presidi veterinari nelle farmacie, che in tal modo si mettono al riparo da fastidiose e rischiose verifiche: segno che i canali ufficiali stanno venendo meno. Un danno per tutti, anche per le imposte.

Sul farmaco si gioca dunque una partita assai più complessa del semplice (ma pur sempre importantissimo) costo minore delle terapie per gli animali non DPA.

Subentrano scenari di accordi e mediazioni tra portatori di interessi che la veterinaria non ha saputo, voluto o potuto scalfire.

Accecati dalla smania di squisito sapore borbonico di regolamentare tutto, ubriacati dalla prospettiva di nuovi registri e papelli, ci apprestiamo a perdere di vista i traguardi più alti, quali la sicurezza sanitaria, la semplificazione delle procedure, la revisione della spesa e la riduzione dei costi per i cittadini/consumatori.


Angelo Troi – Segretario SIVELP

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