Tanti piccoli gruppetti di professionisti “privilegiati” che spadroneggiano in ambiti protetti, dove gli altri non possono entrare.
Vi pare questa la grande conquista del terzo millennio? Certamente la strategia di marketing funziona bene. Si crea un bisogno: quello di un’occupazione e di un reddito decoroso (non ci vuole molto, con l’aria che tira). Poi si propone una soluzione che di volta in volta soddisfi numerosi e limitati settori della professione, potenzialmente moltiplicabili ed a loro volta divisibili, n. volte. Tante piccole “caste”, con tanto di piccolo albo. Si fa credere agli altri che questo rappresenti una grande opportunità, che presto o tardi potrebbe toccare anche a loro (in fondo, basta pagare). Così quanti si credono fortunati parlano di grande successo per la tutela della categoria, mentre gli altri, nella peggiore delle ipotesi, non commentano, ignari della fregatura, finchè qualcuno non gli imporrà l’ALT sul loro lavoro. Oppure si fanno prendere dall’entusiasmo dei primi, confidando nel fatto che presto o tardi verrà il loro turno di entrare nell’aureo recinto. Tanti, specie tra i giovani, non si accorgono che quasi come in un gioco delle tre carte, stanno ri-vendendo loro dei titoli taroccati, pezzetti di quell’abilitazione professionale che hanno già. Brandelli di una laurea e di un’abilitazione professionale di “Medico Veterinario” che loro e le loro famiglie hanno già pagato, in termini di impegno di formazione ed anche di sforzo economico. Un titolo “erga omnes” che permette, o dovremo dire, permetteva -garante lo Stato- di esercitare in qualsiasi ambito della professione. Ovviamente con quello scrupolo di scienza e coscienza che impone ad ogni medico di operare dove è preparato, ma con propria facoltà di scelta, non per imposizione dall’alto.
A chi giova?
Ovviamente a chi “vende”corsi, in parte costretto ad una clamorosa, quanto tardiva, retromarcia sugli ECM, divenuti impopolari agli occhi di tutti. Altrettanto ovviamente, a chi emette o convalida i titoli: acquisisce un potere autorizzativo che non aveva, e si spaccia per difensore dei privilegi della categoria (tra di noi) e paladino dei diritti dei cittadini (all’esterno), a spese nostre. Per entrambi la prospettiva è di un futuro garantito. Infatti abilitare e far mantenere l’abilitazione negli anni, così come trovare sempre nuove nicchie per il florido mercato, non sembra un grande problema.
Nessun ostacolo dunque, a meno che quel migliaio di Colleghi che ogni anno si affaccia all’orizzonte della veterinaria non apra finalmente gli occhi. Non si accorga che quello che ieri era un medico-veterinario, domani potrebbe dover pagare per essere un ecografista-esoticista-cunicolo o un autorizzato-speciale-in struttura-zootecnica, ma senza più la possibilità di tornare indietro, se quel particolare mercato non regge.
SIVeLP è contrario alle barriere, specie quando rappresentano l’ennesimo onere sulle nostre spalle; non al giusto riconoscimento delle competenze, anche in termini economici.
Per questo il Sindacato mette apertamente in guardia i liberi professionisti e chiede loro impegno, partecipazione ed una analisi critica di ciò che viene proposto. Anche in veterinaria, per fortuna, esistono dei sistemi democratici che possono far cambiare le cose: gli interessi della libera professione sono legittimi e vanno difesi e tutelati. Le rappresentanze di categoria sono la strada giusta, ma con l’accortezza di scegliere chi opera in trasparenza e senza, più o meno palesi, secondi fini.
SIVeLP
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