Cass. civ. Sez. VI – 2, Ord., 01-03-2018, n. 4834
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SEZIONE SESTA CIVILE
SOTTOSEZIONE 2
Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:
Dott. PETITTI Stefano – Presidente –
Dott. MANNA Felice – rel. Consigliere –
Dott. ORILIA Lorenzo – Consigliere –
Dott. SCALISI Antonino – Consigliere –
Dott. CRISCUOLO Mauro – Consigliere –
ha pronunciato la seguente:
ORDINANZA
omissis
In Fatto e in Diritto
1. – Sanzionato per violazioni degli artt. 141, 146, e 148 C.d.S., commesse il (*) (sorpasso di autovetture ferme ad un semaforo rosso, invasione dell’opposta corsia di marcia, violazione dello stesso semaforo rosso e velocità pericolosa in centro abitato), il Dr. G.R., medico veterinario, proponeva opposizione L. n. 689 del 1981, ex art. 22, invocando a sostegno l’esimente di aver agito per la necessità di provvedere a delle cure urgenti su di un cane “affetto da osteosarcoma in fase terminale” (v. pag. 2 del controricorso).
Il giudice di pace di Ancona accoglieva l’opposizione.
L’appello del Ministero dell’Interno e della Prefettura – U.T.G. di Ancona era respinto dal Tribunale di Ancona, con sentenza n. 304/14. Il giudice di secondo grado riteneva di uniformarsi a Cass. penale n. 25526/09, ed osservava che nel concetto di stato di necessità ai sensi dell’art. 54 c.p., è inclusa ogni altra situazione che induca all’uccisione o al danneggiamento dell’animale per evitare un pericolo imminente o per impedire l’aggravamento di un danno giuridicamente apprezzabile alla persona propria o altrui o ai beni, quando tale danno l’agente ritenga altrimenti inevitabile, e che un cane (in disparte il rispetto per la sua vita) è sicuramente un bene patrimoniale. Infine, condannava la Prefettura alle spese e al pagamento della somma di Euro 1.000,00 per responsabilità aggravata ex art. 96 c.p.c., per aver sanzionato il veterinario (peraltro scortato nell’occasione dagli stessi agenti accertatori per arrivare a destinazione) per aver cercato di raggiungere al più presto un proprio “paziente”.
2. – La cassazione di tale sentenza è chiesta dal Ministero dell’Interno e della Prefettura – U.T.G. di Ancona sulla base di due motivi.
Resiste con controricorso G.R..
Su proposta d’accoglimento del consigliere relatore nominato ai sensi dell’art. 377 c.p.c., il ricorso è stato avviato alla trattazione camerale ai sensi dell’art. 380-bis c.p.c., come modificato dal D.L. 31 agosto 2016, n. 168, art. 1-bis, comma 1, lett. e), convertito, con modificazioni, dalla L. 25 ottobre 2016, n. 197.
La parte controricorrente ha depositato memoria.
3. – Preliminarmente va respinta l’eccezione di tardività del ricorso.
In materia di cosiddetto termine lungo di impugnazione, l’art. 327 c.p.c., come novellato dalla L. n. 69 del 2009, art. 46, mediante riduzione del termine da un anno a sei mesi, si applica, ai sensi dell’art. 58 della medesima Legge, ai giudizi instaurati, e non alle impugnazioni proposte, a decorrere dal 4 luglio 2009, essendo quindi ancora valido il termine annuale qualora l’atto introduttivo del giudizio di primo grado sia anteriore a quella data (Cass. nn. 14267/15, 6784/12 e 6007/12).
Nella specie, depositata la sentenza impugnata il 18.2.2014, e non notificata, il ricorso è stato avviato alla notificazione il 1.10.2014, e dunque ampiamente entro l’anno dalla pubblicazione.
4. – Il primo motivo di ricorso denuncia la violazione della L. n. 689 del 1981, art. 4 e art. 54 c.p., in relazione all’art. 360 c.p.c., n. 1, poichè, al contrario di quanto opinato dal Tribunale, lo stato di necessità sussiste solo qualora l’agente è proteso a salvare se stesso o altri da un danno grave alla persona, non al patrimonio. Il secondo motivo censura la violazione dell’art. 96 c.p.c., sia perchè l’opponente era stato sanzionato per le plurime violazioni al C.d.S. e non già per aver cercato di raggiungere un “paziente”, sia perchè la circostanza che gli agenti avessero scortato il G. nell’accompagnarlo a destinazione è del tutto irrilevante ai fini del giudizio.
4. – Il primo motivo è fondato.
Il Tribunale, infatti, ha erroneamente supposto di applicare il principio desumibile da Cass. penale n. 25526/09, mentre, in realtà, tale sentenza ha applicato l’esimente non dell’art. 54 c.p. (stato di necessità) ma dell’art. 52 c.p. (legittima difesa) in relazione all’uccisione, in periodo di divieto di caccia, di una volpe che si era altre volte introdotta nel pollaio in proprietà all’imputato, facendo razzia di polli e galline, e aggredendo la moglie dello stesso (da notare, poi, che le sentenze penali nn. 1963/98 e 8820/06, citate nella motivazione di detto precedente per ampliare il concetto penalistico di necessità, ma non l’esimente in sè dell’art. 54 c.p., si riferivano a loro volta al ben diverso concetto di necessità di cui all’art. 638 c.p.).
Tanto chiarito, va osservato che:
a) la costante giurisprudenza di questa Corte afferma che l’esclusione della responsabilità per violazioni amministrative derivante da “stato di necessità”, secondo la previsione della L. n. 689 del 1981, art. 4, postula, in applicazione degli artt. 54 e 59 c.p., che fissano i principi generali della materia, una effettiva situazione di pericolo imminente di danno grave alla persona, non altrimenti evitabile, ovvero l’erronea persuasione di trovarsi in tale situazione, in base alla verificazione di circostanze oggettive (Cass. nn. 18099/05, 17479/05 e 4710/99);
b) in tema d’infrazioni amministrative lo stato di necessità, contemplato dalla L. 24 novembre 1981, n. 689, art. 4, come causa di esclusione della responsabilità, è ravvisabile solo in presenza di tutti gli elementi previsti nell’art. 54 c.p., incluso il “pericolo attuale di un danno grave alla persona” (Cass. nn. 3961/89, 5877/04 e 14384/05);
e che infine e nello specifico:
c) in una fattispecie del tutto analoga a quella in oggetto questa Corte ha ritenuto che l’esimente dell’art. 54 c.p., non sia invocabile quando la situazione di pericolo riguardi un animale (Cass. n. 14515/09, la quale ha confermato la sentenza di merito che, a seguito dell’irrogazione della sanzione prevista dal codice della strada per l’eccesso di velocità, aveva escluso l’applicabilità dell’esimente in relazione al trasporto d’urgenza, presso un veterinario, di un gatto gravemente ferito e raccolto poco prima).
4.1. – Nè hanno pregio alcuno le argomentazioni difensive di parte controricorrente – su cui si insiste in specie nella memoria – secondo cui, ove pure si escludesse l’esimente dello stato di necessità, nel caso in esame sarebbero ad ogni modo applicabili l’art. 5 c.p. e art. 59 c.p., comma 4, essendo il soggetto agente incorso in un errore scusabile, “determinato perfino dall’appoggio degli Agenti della Polstrada” (v. pagg. 11 del controricorso e 1 della memoria); ovvero la diversa “esimente dell’adempimento di un dovere o di un ordine della P.A.” (v. pagg. 14 del controricorso e 2 della memoria).
Quanto all’art. 5 c.p., è sufficiente ricordare che è scusabile solo l’ignoranza inevitabile della legge (giusta la pronuncia manipolativa di Corte cost. n. 364/88); inevitabilità che non può neppure ipotizzarsi in chi, ponendosi alla guida ed essendo in possesso della relativa abilitazione, non può permettersi di non conoscere la corretta interpretazione delle regole che vi presiedono.
Per nulla pertinenti al caso di specie, poi, l’art. 51 c.p. e art. 59 c.p., u.c..
Il primo perchè il dovere deontologico-professionale di prestare le cure richieste non autorizza il veterinario a violare le norme sulla circolazione stradale, quel dovere potendosi adempiere senza violare necessariamente queste ultime norme; nè si può attribuire, per le ragioni già esposte, alcun rilievo allo stato di necessità malamente supposto dal giudice di merito.
Il secondo, in quanto si riferisce all’errore sul fatto e non all’errore sul divieto, mentre nel caso di specie il supporre di essere esonerato dal rispetto delle norme del codice della strada per prestare la propria opera urgente esprime, appunto, la fallace opinione che l’una o l’altra delle scriminanti invocate potesse essere applicata anche nel caso prospettato. E dunque esprime un errore sulla portata delle norme, non sulla realtà dei fatti concreti così come l’agente li ha percepiti.
Non senza aggiungere, infine, che la Polstrada non ha ordinato alcunchè al G. e che l’averlo scortato a destinazione dopo averlo dapprima fermato a causa delle infrazioni commesse (v. la ricostruzione dell’accaduto sottintesa a pag. 2 della sentenza impugnata e meglio esplicitata a pag. 2 dello stesso controricorso) costituisce, per di più, un post factum, come tale privo di qualsivoglia incidenza su violazioni amministrative già poste in essere.
5. – L’accoglimento del suddetto mezzo d’annullamento assorbe ovviamente l’esame del secondo motivo di ricorso, per l’effetto espansivo interno di cui all’art. 336 c.p.c., comma 1.
6. – La sentenza impugnata va dunque cassata e decidendo la causa nel merito, non essendo necessari ulteriori accertamenti di fatto, va rigettata l’opposizione proposta da G.R..
7. – La pur relativa novità della fattispecie costituisce giusto motivo di compensazione delle spese, in base all’art. 92 c.p.c., comma 2, nel testo, applicabile ratione temporis, anteriore alle modifiche apportate dalla L. n. 69 del 2009.
P.Q.M.
La Corte accoglie il primo motivo di ricorso, assorbito il secondo, cassa la sentenza impugnata e decidendo nel merito rigetta l’opposizione proposta da G.R. e compensa integralmente fra le parti le spese dei gradi di merito e del presente giudizio di legittimità.
Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio della Sezione Sesta Civile – 2, della Corte Suprema di Cassazione, il 16 novembre 2017.
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