La Scienza risponde alle bufale del web con sempre maggiore attenzione, ma a volte è “complice”. Comunicare correttamente le scoperte scientifiche è piuttosto difficile, ma diffondere falsità (le cosiddette “bufale”) sembra essere decisamente più facile.
Il fenomeno è reale e gli studiosi di comunicazione lo considerano ormai un dato di fatto. Le spiegazioni sono diverse. Per capire un ragionamento scientifico servono delle basi di conoscenze sulla materia che non sono disponibili per tutti: alcune nuove acquisizioni derivano da decenni di studi e ricerca, spesso in campi molto specialistici.
Il falso è invece congegnato proprio per dare ai destinatari qualcosa che in un certo qual modo vorrebbero sentirsi dire, interpretando desideri o fobie. Evidentemente è più facile dire che il pianeta è deforestato o che scompaiono le aree incolte piuttosto che riportare dati sull’aumento degli alberi o delle zone abbandonate e rinselvatichite.
Spesso gioca un certo ruolo la prudenza della comunicazione scientifica (che difficilmente pone risposte in termini assoluti), contro la certezza delle menzogne. Vi sono poi – specie con l’avvento di Internet – interi “apparati” pronti ad accogliere quel che parla alla pancia della gente per materie come gli OGM, i vaccini, i diritti degli animali, la fauna… La comunicazione diventa così molto più facilmente virale e la persistenza dei messaggi più tenace.
Aggiungiamo una certa tendenza sociologica delle società avanzate ad assecondare i guru dell’insolito e una buona dose di speculazione nello spacciare quanto può sembrare curioso ed ecco che la comunicazione scientifica sta diventando sempre di più una materia seria al pari delle acquisizioni che conquista.
Si muovono così sempre di più quanti cercano – mai abbastanza, invero – di riportare la razionalità del metodo scientifico, su tutti i mass media con fenomeni nuovi: dai siti più autorevoli di comunicazione ai numerosi investigatori contro le “bufale”, fino ai più tradizionali radio, televisione e giornali che cercano magari faticosamente di conquistare uno spazio di serietà a notizie importanti che spesso sulle stesse testate vengono affiancate con disinvoltura a vere e proprie amenità.
Eppure a volte è proprio il mondo scientifico che non è certo un monolite, ma possiede numerose sfaccettature, non ultima quella di vari interessi, a contribuire ad accrescere la sfiducia in se stesso. Un esempio – piccolo, piccolo – viene proprio dal farmaco veterinario, dove appena si è ventilata la ragionevolissima ipotesi che il nuovo regolamento europeo potesse concedere ai proprietari di animali da compagnia l’accesso a farmaci (sempre sotto la responsabilità di un veterinario, beninteso) con medesimo principio attivo meno costosi ancorché registrati per la medicina umana, si sono mosse campagne di informazione sulla diversità tra farmaco umano e farmaco veterinario, con tanto di autorevoli esperti in materia.
Sorridiamo perché spesso, anche in materie scientifiche si sente dire che molti studi propendono per un’ipotesi e altri per quella opposta. Di solito la dirimente sta nel verificare quanto siano indipendenti dai soldi gli uni o gli altri (a parte le campagne chiaramente identificate dalla parte dell’industria, ci sono interessi nelle sponsorizzazioni di relatori, eventi o pubblicità, nel meccanismo delle registrazioni e tutta la burocrazia che ci gira attorno, nella sperimentazione, diffusione e commercializzazione dei prodotti).
Al veterinario privo di interessi in questi ambiti resta il fastidio di una burocrazia asfissiante quanto inutile e dispendiosa. Se dunque sentirete decantare a priori le virtù e le differenze dei medesimi principi attivi tra veterinaria e umana (solo talvolta davvero giustificate) pensate che esistono soluzioni glucosate registrate per l’umana e la veterinaria. Apparentemente sono identiche (acqua e destrosio) ma sorridete: è un click della scienza che alimenta le bufale.